Cuenca - La comunità Cañari

29 Settembre - 01 Ottobre 2019

Mai una gioia! Anche stamattina la sveglia è alle 6, ma che abbiamo fatto di male? :)
Il viaggio verso Cuenca è lungo e composto di 2 parti, prima tappa Ambato e poi da lì un altro autobus per cuenca, con un totale di circa 10 ore. Per questo ci mettiamo in cammino presto così da arrivare a Cuenca non troppo tardi.
La signora dell’hotel ci vorrebbe offrire un caffe ma dobbiamo rifiutare purtroppo, però ci dà lo stesso il braccialetto dell’Ecuador (quello che aveva dato anche alla coppia di francesi) e ci saluta con un bacetto. Che caruccia!
Al terminal, che raggiungiamo a piedi, prendiamo il primo bus per Ambato che in teoria dovrebbe distare solo 40 minuti ma ci impiega più di un’ora, sempre per il fatto che non esistono fermate ufficiali e ogni 5 minuti si ferma per far scendere o raccattare qualcuno (e i suoi mille sacchi con la spesa dal mercato).

Ad Ambato come al solito è una corsa. L’autobus parte dopo 10 minuti, nei quali dobbiamo fare il biglietto, andare in bagno, fare colazione e procacciarci del cibo di emergenza nel caso non ci sia la sosta pranzo. Questa ultima operazione purtroppo non la portiamo a termine e sfiga vuole che, non solo la sosta pranzo non ci sia, ma anche i soliti venditori ambulanti che di solito entrano ogni 10 minuti con una vasta scelta di cose da mangiare, oggi non ci siano. Se la prima parte del viaggio procede abbastanza bene, grazie anche alle strade sorprendentemente asfaltate con standard alti, la seconda parte è una lotta con i nostri stomaci che sarebbero pronti per un bel pranzo.
Verso le 3 ci fermiamo ad un terminal e Marco si precipita fuori per cercare qualcosa di commestibile prima di ripartire. Nel frattempo entra un venditore ambulante nell’autobus che vende dei bei bicchieroni con insalata di frutta mista. Di solito cerchiamo di evitare per paura delle condizioni igieniche con cui è stata lavata e tagliata la frutta, ma oggi non ci penso neanche un secondo e la compro. E meno male, perchè Marco ha trovato solo junk food (busta di patatine e una sorta di castagnole).

Una volta arrivati a Cuenca, cerchiamo prima di capire come fare ad arrivare in Perù tra 2 giorni. Pensavamo di fare un viaggio diurno, invece ci sono solo autobus notturni che vanno diretti a Mancora, la nostra prima destinazione in Perù. Non ci disturba il fatto di viaggiare di notte, ma in questo caso ci dovremo svegliare intorno a mezzanotte per passare la frontiera e poi arriveremo a Mancora alle 4-5 del mattino, quando gli hotel ancora sono chiusi. Va beh, troveremo una soluzione.
Dal terminal prendiamo un taxi che ci porta in fronte alla guesthouse. Veniamo accolti da un ragazzo e da un signore statunitense che ci dice che vive in questa guesthouse ormai da molto tempo perchè è in pensione e qui la vita costa meno. Non è la prima volta che sentiamo questa storia, e sembra prassi non rara che nordamericani si rifugino in sudamerica dopo la pensione per spendere meno. Questo almeno non sembra viscido come quello che abbiamo incontrato in Colombia.
La guesthouse è eccezionale, in legno, con decorazioni bellissime, pulitissima e con la cucina che prevediamo già di usare abbastanza. Cucinare ci fa sempre sentire un po’ a casa nonostante che ci spostiamo in continuazione da un posto ad un altro.
Sono circa le 5, è domenica e la città è decisamente morta. È tutto chiuso, ma proprio tutto, compresa l’agenzia in cui volevamo prenotare un tour per conoscere la cultura indigena dei dintorni. 
Camminiamo un po’ per la città, che nonostante sia deserta, ci fa una buona impressione. Sembra pulita, tranquilla, ben organizzata e anche graziosa. Per essere una città relativamente grande e importante non è poco. Tutte quelle che abbiamo visto finora non ci hanno fatto impazzire, ma qui ci potremmo anche fare un pensierino di passarci la pensione anche noi...in fondo il vecchietto non ha tutti i torti.

Cuenca
La piazza principale di Cuenca

  Vagando ci prendiamo un tequeno venezuelano, che avevamo già assaggiato in Colombia, e un pezzo di pizza al taglio che è una bomba. Gli ecuadoregni non sono niente male nel cucinare la pizza!!
Prima di rientrare ci fermiamo in un supermercato per comprare qualcosa per cena. La scelta va verso verdure (quando possiamo ci facciamo la scorpacciata di verdure visto che quando mangiamo fuori è impossibile trovarne) e pollo.
Una volta rientrati decidiamo di studiarci un piano di attacco per il Perù, destinazione imminente. Soprattutto dobbiamo informarci su come arrivare ad Huaraz, nella cordigliera bianca e sul viaggio in barca nel rio delle Amazzoni. La ricerca è estenuante. Ci accorgiamo che arrivare ad Huaraz dalla costa è un delirio, 24 ore di viaggio. Per rimanere nei tempi dovremmo tagliare la permanenza nella costa, cosa però che non vogliamo fare. Iniziamo allora a guardare se ci sono voli, ma sembra che l’unico volo all’aeroporto di Huaraz (su Lima) non venga più effettuato. Che macello! In più ci accorgiamo delle difficoltà del viaggio in Amazzonia che prevede due barche, con un totale di più di una settimana per arrivare da Iquitos in Perù a Manaus in Brasile. Per non parlare che una volta a Manaus poi tornare in Perù non è per niente facile e dovremmo fare giorni e giorni di costante viaggio in autobus. Per tutte queste ragioni pensiamo di tagliare il Brasile e fare l’esperienza amazzonica solo in Perù. Le nostre teste fumano e ci riserviamo di ripensare a tutto questo domani, per prendere decisioni dopo una bella dormita.

Anche stamattina ci svegliamo abbastanza presto per poter andare all’agenzia appena apre e vedere se si può fare il tour dei villaggi indigeni oggi. Da subito capiamo che è un po’ difficile farlo oggi, non hanno nessun altro che lo aveva prenotato quindi la guida era a riposo. Il titolare prova a chiamarlo ma dice che ha la macchina dal meccanico. Per non complicare troppo le cose e soprattutto perché è già tardi, scendiamo al compromesso di andare domani anche se ci rende le cose a noi un po’ più complicate dato che dobbiamo lasciare  l’hotel al mattino e la sera abbiamo l’autobus notturno per il Perù. Pazienza. Prima di dire si, però, ci abbiamo pensato su perché ci hanno sparato 75$ a persona, che per il nostro budget giornaliero è tantissimo. Decidiamo però di investire questi soldi per capire di più dei popoli indigeni ecuadoregni, speriamo di raggiungere l’obiettivo.

Con questo cambio di piani oggi abbiamo una giornata per prendercela un po’ più comoda, grazie anche al fatto che i musei sono tutti chiusi (anche quello che ci interessava) e la città non è grandissima da visitare. 
Andiamo a fare colazione e poi iniziamo a passeggiare per il centro che è decisamente più vivo di ieri. Andiamo alla piazza principale su cui si affaccia una chiesa. Entriamo e ci viene voglia di accendere una candelina per ringraziare delle bellissime vite e famiglie che abbiamo.

Cuenca
Che qualcuno da lassù ci protegga sempre

  Camminando troviamo poi un mercato coperto tipo quello di Quito, ma più grande. Ci sono vari reparti: carne, frutta, verdura e poi la parte con i baracchini per mangiare. Quando troviamo un mercato con roba fresca non ci limitiamo mai a guardare, ma ne approfittiamo per comprare. La guesthouse ha la cucina quindi non ci pensiamo due volte e prendiamo qualcosa per cena e colazione. Ci prendiamo dei piselli, pomodori, avocado (che qui è una favola), formaggio fresco e il mote, ovvero un tipo di mais che abbiamo scoperto qualche tempo fa, che si fa bollire e si serve tipo riso, a contorno del piatto principale.

Mote
Il mote

  Chiediamo alla signora quanto tempo occorre per cucinarlo e ci sembra di capire 10 minuti (chiediamo conferma un paio di volte e lei dice si!). Ottimo! Per colazione, invece, ci prendiamo della frutta da mangiare con yogurt e cereali.

Cuenca
Mercato floreale di fronte alla chiesa

  Si è già fatto mezzogiorno, quindi torniamo alla guesthouse per lasciare la spesa e ci fermiamo a mangiare un almuerzo veloce. Il task di adesso è andare alla stazione degli autobus per prenotare il biglietto per il Perù. La raggiungiamo a piedi e passiamo davanti ad un altro mercato chiuso, ma a questo non ci fermiamo.
Fatto il biglietto, Marco ne approfitta per andare dal barbiere al terminal degli autobus. Dato che si sta facendo crescere la barba, i capelli vuole tenerli più ordinati. La signora quando ha finito i capelli, fa per cominciare con la barba ma il mio amore si ribella. La barba è salva a parte per una piccola area dove la signora è passata prima che Marco si accorgesse delle sue intenzioni.

Cuenca
Foto di marketing per questa pittoresca città

  Tornando al centro ci fermiamo per un altro paio di commissioni e poi decidiamo di tornare in hotel a rilassarci...ma qualcosa ci distrae. Per colpa della mia volontà di comprare delle cartoline, entriamo in un negozio di souvenirs che da fuori sembra minuscolo, ma in realtà ha un secondo piano immenso. C'è di tutto: tende colorate, ponchos, quadretti, tutto stupendo. Non sappiamo trattenerci a fare un giro e veniamo distolti dalle cartoline. Vediamo un tessuto tipico di Otavalo che avevamo visto usato per le tende della nostra stanza di hotel. In realtà può essere usato come tovaglia, centrotavola o, come vorremmo noi, copriletto. I colori ci fanno impazzire e gli occhi ci luccicano. La proprietaria, la signora Laura, ci fa vedere le varie dimensioni e colori, capendo che ci sono alte probabilità di finalizzare. C’è una combinazione di colori che ci piace in particolare, ma la dimensione è troppo grande. La signora ci dice che tempo un’ora ce la può tagliare alla dimensione che vogliamo e fare l’orlo. Già ci immaginiamo come starà bene nel letto della nostra prossima casina!
Tornado con l’attenzione sulle cartoline, ci sfugge l’occhio su dei quadri di stoffa appesi sulle pareti. Alcuni di essi raffigurano dei profili di gente del luogo (capelli lunghi, legati in una treccia, cappello tipico e poncho) che sembrano parlare tra di loro di fronte a delle montagne. I colori sono sul rosso scuro e marrone. Ce ne innamoriamo, ma siamo preoccupati dello spazio che prenderebbe nei nostri zaini (e del prezzo). Ne vediamo altri più piccoli, ma i colori non ci piacciono. Continuiamo ad andare davanti a quello che piace fino a che con lo sguardo ci diciamo che un posto glielo troveremo. Da che dovevamo comprare solo delle cartoline, siamo usciti con un copriletto e un quadro di tessuto. Ma cosa ci siamo fumati???
Usciti dal negozio e sbollito l’entusiasmo dei nuovi acquisti, iniziamo a sudare freddo per tutti i soldi che abbiamo speso oggi inaspettatamente tra tour per domani e acquisti. Meglio se ce ne torniamo in hotel adesso e non usciamo fino a domani!

Passiamo il resto del pomeriggio a finalizzare alcune decisioni per le prossime tappe. Abbiamo risolto la questione Huaraz e siamo sempre più propensi ad andare a Iquitos ma non passare in Brasile. Sembra che ad Iquitos ci siano un sacco di tour nella giungla e poi magari possiamo navigare sul rio delle Amazzoni una giornata fino al confine e da lì, se c'è un aeroporto, prendere un volo per Lima. Vediamo se è possibile.
Nel frattempo iniziamo a cucinare i piselli per stasera, ma lasciamo il mote per poco prima di cena. Quando andiamo a metterlo a bollire, ci viene l’idea di guardare i tempi di cottura su internet. Dicono tra 1 e 2 ore. Cosa??? Perché la vecchietta ci ha detto 10 minuti? Chissà che ci siamo detti?? Va beh, lo mettiamo su e aspettiamo con pazienza.

Dopo cena prepariamo gli zaini per domani dato che alle 8 dobbiamo stare in agenzia ad iniziare il tour. Compiuta la missione di fare entrare tutto, compreso i nuovi acquisti, negli zaini ci mettiamo a dormire. Domani sarà’ una lunga giornata!

L’ultimo giorno in Ecuador ci svegliamo molto presto: doccia, ricomposizione degli zaini, colazione fatta in casa. Lasciamo gli zaini grandi e andiamo in panetteria per comprare dei dolci da offrire alla famiglia indigena che ci ospiterà oggi. Nella tradizione canari è regola ferrea portare dei piccoli doni quando si viene ricevuti in casa di qualcuno.

Alle 8 siamo davanti all’agenzia e li ci aspetta la nostra guida Messias (che nome impegnativo!). Inizia a parlarci in inglese, ma ci chiede se preferiamo lo spagnolo. Noi rispondiamo di provarci e se non ci capiamo possiamo sempre rifugiargi nell’inglese. Partiamo in macchina e nell’ora e mezza di tragitto fino a Canari inizia a raccontarci già un po’ di cose sulla comunità canari. Ci racconta anche delle festività dell’Ecuador che coincidono con i due equinozi e i due solstizi. Le prime sono festività incentrate più sulla donna in quanto negli equinozi, mentre i solstizi sono più masculini. Ci racconta della croce andina - la chakana - e i suoi significati e poi ci racconta della fusione tra le comunità indigene e gli Inca, quando questi ultimi hanno conquistato i luoghi abitati da quelle comunità. In particolare i canari erano molto devoti alla luna, infatti seguono (o seguivano) il calendario lunare, mentre gli Inca al sole. Adesso si possono vedere nei siti archeologici di questi luoghi monumenti dedicati al sole accanto a quelli dedicati alla luna.
Siamo molto interessati a questa parte di storia che personalmente ignoravo e continuiamo a fare domande su domande.

Comunità Canari
La nostra guida Messiah

  Dopo un’oretta ci fermiamo in un posto per fare colazione. Messias ci consiglia di prendere un piatto a base di un impasto di farina di mais e latte (humitas), racchiuso nelle foglie esterne alla pannocchia del mais. Ce ne prendiamo uno a testa ovviamente. All’inizio è squisito, ma dopo metà inizia un po’ ad essere pesante...forse uno in due sarebbe bastato!

Arrivati nella cittadina di Canari, la prima tappa è un museo di oggetti e ceramiche tipici delle comunità indigene, ritrovati in una collina vicino alla città. Il museo è decisamente trasandato, ma possiamo vedere alcune caratteristiche delle civiltà antiche e di come le decorazioni dei vasi in ceramica sia cambiata con la conquista degli Inca. La parte più divertente di questa visita, però, sono i due guardiani o responsabili del museo. Due signori sulla cinquantina, curiosi e vivaci che iniziano a farci un sacco di domande. Ci chiedono dell’Italia, di come troviamo l’Ecuador, etc. Noi cerchiamo di rispondere con il nostro spagnolo improvvisato e le due macchiette sono contentissime, sopratutto quando dichiaro di preferire Cuenca a Quito, li divento la loro migliore amica!

Proseguiamo poi verso il villaggio in cui vivono le persone di una delle comunità canari. Infatti ci sono diversi sotto-gruppi del popolo canari, noi oggi ci incentreremo su uno di essi: i Kushi Wairi. Per prima cosa andiamo nella scuola dove lavora il Taita che ci ospiterà oggi. I Taita sono pezzi grossi della comunità, tipo gli shamani delle comunità amazzoniche. Taita Jacinto, con cui passeremo la giornata, è il preside (almeno credo) di questa scuola. Lui crede molto nell’educazione dei ragazzi, ma soprattutto è molto impegnato nel cercare di mantenere le tradizioni della comunità indigena. Per questo ha fondato questa scuola bilingue in cui i ragazzi, dalle elementari al collegio, imparano sia spagnolo che quichua, la lingua dei canari. Ci spiega che il Quichua è il mix tra la lingua originiaria delle comunità pre-Inca e il Quechua, lingua degli Inca. Jacinto è molto preoccupato nella troppa modernità che sta arrivando qui e ha paura che le tradizioni che si sono mantenute per millenni andranno perse sempre di più. Pur essendo un fan dell’educazione, non è contento che i ragazzi che decidono di andare all’università poi difficilmente tornano al villaggio, preferendo l’emigrazione verso Stati Uniti ed Europa, un danno immenso per la comunità.

Jacinto è un personaggio particolare: capelli neri lunghi raccolti nella tipica treccia peruviana, cappello tipico e poncho. È un signore molto sulle sue, ma che quando prende confidenza regala dei sorrisi impagabili. 
Dopo la breve visita nella scuola, ci porta nel ristorante del figlio a bere una tazza di tè. Qui ci racconta di come la comunità è organizzata. Ci sono molte divisioni e sottogruppi, ma la cosa principale è che si aiutano tutti. Se qualcuno ha un problema si rivolge prima alla famiglia, stretta o allargata; se nessuno può aiutare, chiede al sottogruppo e poi alla intera comunità. Anche i crimini, come furti, vengono trattati dalla comunità in modo particolare: non c’è polizia, ma se qualcuno viene derubato tutta la comunità si impegna a cercare il ladro. Quando viene trovato, viene affrontato dai personaggi più importanti della comunità e vengono inflitte delle pene a seconda del crimini, per esempio lavori forzati in uno dei sottogruppi e divieto di tornare nel suo gruppo, città o famiglia per un tot di tempo. 
Che roba potente! Così vicini e comunque invasi dalla modernità (tutti hanno cellulari, tablet, etc), ma con ancora delle tradizioni così forti. Ci credo che Jacinto sia turbato dal perdere questa parte che li identifica e caratterizza.

Dopo questa interessante conversazione, è ora di continuare. Andiamo nelle terre di un altro dei sottogruppi a visitare l’acienda dove si producono moltissimi tipi di grani: mais, quinoa, amaranto, e altri di cui non ricordo il nome. Oltre a vedere i campi coltivati, ci portano nel nuovo mulino che è stato inaugurato da poco. Sono orgogliosissimi e la capa ci accoglie calorosamente, nonostante sia impegnata, per dirci che è aperta a far vedere il mulino ai turisti, ma anche ad organizzare progetti con le scuole per far conoscere i grani e la loro lavorazione. 
Qui ci raccontano anche come, nell’epoca della conquista spagnola, tutte queste terre che si vedono a perdita d’occhio facevano parte di una sola grande acienda spagnola, dove le comunità indigene erano costrette a lavorare incessantemente senza essere pagate. L’unica forma di “ribellione” che avevano era quello di cantare mentre lavoravano nei campi e inventare sempre canzoni nuove, per dimostrare agli spagnoli che non li stavano cancellando, ma che le loro anime rimanevano orgogliose della loro identità.
Con la rivoluzione agraria, poi, queste terre sono state suddivise tra le varie comunità e sottogruppi indigeni che finalmente sono tornati ad essere padroni di ciò che era loro.

Adesso è ora di pranzo. Taita Jacinto ci accoglie nella sua casa. Dato che è un pezzo grosso della comunità, mi aspettavo una casa moderna e con tutti i comfort. Invece ci troviamo davanti una casa decisamente caratteristica e ancora all’antica. Qui ci aspettano una donna e un ragazzo, che inizialmente crediamo essere la moglie e il figlio del taita, invece poi scopriamo essere amici o lontani parenti. Sembra che la moglie e i figli di Jacinto stiano lavorando, lei nei campi, e gli altri nel ristorante e a scuola e quindi non possono accoglierci.

Comunità Canari
La casa del nostro taita

  La signora sta preparando il pranzo a base di riso, patate e il piatto forte: il Cui, ovvero il porcellino d’India. Veniamo invitati a partecipare alla preparazione del pranzo e mi ritrovo a fare da gira-arrosto per il povero porcellino che è stato aperto, impalato e messo sopra al fuoco. Devo dire la verità, non sono del tutto a mio agio a vedere questa scena, ma non posso tirarmi indietro, alla fine è una parte della loro tradizione.

Comunità Canari
Il povero (ma buonissimo) cui

  Ci fanno poi preparare una salsa a base di semi di zucca tostati e pestati nel mortaio con sale e acqua. Semplice, ma deliziosa.

Comunità Canari
La preparazione del pranzo

  Mentre i nostri ospiti finiscono di preparare il pranzo, ci facciamo un giro intorno alla casa. Andiamo a vedere la stalla dei porcellini d’India (che carini quando sono vivi!!), ce ne sono a decine. C’è poi la gabbia dei conigli, ci sono i maiali e un piccolo giardino di erbe curative. Accanto c’è dell’ortica e Messias ci dice che viene usata come specie di cilicio per punire i crimini più gravi: “es cosa muy seria” ci dice, con una faccia serissima e noi scoppiamo a ridere!
Pranziamo fuori dato che c’è un bel sole che scalda. Il tavolino è minuscolo, ma non c’è bisogno di cose in grande. La signora ci porta i piatti con patate, riso e il povero Cui. Dato che il cui viene cucinato solo in occasioni speciali, non posso rifiutarmi di assaggiarlo. Fortuna che i porcellini d’India sono piccolini e ce ne stiamo dividendo uno in 6 quindi il pezzetto è molto piccolo. Il riso invece è spaziale! Ci servono anche una bevanda a base di avena, tipo quelle che abbiamo bevuto anche nel nord dell’Ecuador. Muy rica!

Comunità Canari
I dintorni del villaggio Canari

  Noi ancora non lo sappiamo, ma l’agenda di attività dopo il pranzo è serrata! Per prima cosa ci fanno provare i vestiti tradizionali. Io quindi mi metto una gonna gialla di lana pesantissima, un poncho e un cappello. Marco invece si mette una camicia con dei ghirigori tipici (di cui si innamora), un poncho e un cappello maschile. Qua la questione dei cappelli è seria. Ogni sottogruppo ne ha uno tipico e tra un gruppo e l’altro e una comunità e l’altra sono tutti diversi. La signora poi mi insegna a filare la lana con il fuso. Lei va velocissima, io invece molto imbranata, ma lei mi dice che per essere la prima volta non sto andando troppo male.

Comunità Canari
Erika alle prese con il fuso

  Il signor Jacinto inizia anche a suonare la fisarmonica e l’atmosfera diventa animatissima. Facciamo un ballo tutti insieme, che è sempre camminando a passo di musica in circolo. Poi arriva la sessione foto. Ci mettiamo tutti in posa e il figlio della signora viene riempito di aggeggi elettronici di ogni tipo per fare foto ricordo per tutti. Noi, poi, tiriamo fuori anche la Instax e ci facciamo fare due foto istantanee, una per noi e una da dare a loro come ricordo. 
Marco e Messias poi si scambiano i ponchos. Quello che si era messo inizialmente Marco era quello pesante, mentre l’altro è più leggero, ma sono entrambi da festa. 

Finita la sessione vestiti e danze, adesso la signora ci dà una sorta di “benedizione”, una cerimonia per eliminare le energie negative. Con un fascio di erbe curative unte in un preparato di alcol e altre erbe, ci passa tutto il corpo davanti e dietro. Poi ci mette un paio di gocce del preparato nelle mani e ci dice di respirare nelle mani chiuse per 3 volte. Al primo respiro quasi svengo, l’alcol non era ancora evaporato e non mi aspettavo tutta quella potenza! Speriamo che tutto questo sia di buon auspicio per il proseguimento del viaggio.

Purtroppo è ora di lasciare casa del taita Jacinto e continuare il nostro viaggio all’interno della comunità. Mentre lo ringraziamo dell’ospitalità e lo salutiamo, ci sorprende con una richiesta. In macchina prima avevamo detto che siamo ingegneri energetici e lui se l’è segnato in testa ed elaborato l’informazione. Adesso, a distanza di qualche ora, ci chiede se possiamo aiutarlo per un progetto che ha in mente che prevede l’uso di energie rinnovabili per alimentare le case della comunità. Ci parla di sole, vento e acque di un fiume che scorre qui vicino. Ci dice che è un progetto che ha in mente da tanto tempo, ma non ci sono esperti in zona che possano fare il progetto. Noi ci sentiamo lusingati, ma allo stesso tempo un po’ sopraffatti. Ci farebbe veramente piacere usare le nostre conoscenze per un progetto così umanitario e con un significato profondo, ma allo stesso tempo, avendo la testa da ingegneri, non possiamo non pensare alle difficoltà nel realizzarlo. La distanza prima di tutto, la raccolta di informazioni e dati, la stima dei prezzi in un paese così distante dal nostro in cui non conosciamo fornitori e non sappiamo se certi prodotti siano commercializzati.
Ci teniamo, però, tutto questo per noi e accettiamo l’offerta. Gli occhi pieni di gioia del signor Jacinto mentre gli scriviamo i nostri contatti ci darà la forza di affrontare le difficoltà, sempre se questo progetto verrà iniziato.
Il tour adesso continua solo con la signora e il figlio. Messias ci guida verso il campo di fragole della signora. Qua ci mostra come vengono coltivate le fragole e il primitvo, ma efficace impianto di irrigazione che hanno costruito. Mi ricorda un po’ il pezzetto di terra che aveva la mia nonna con le fragole e quanto mi piaceva andarle a cogliere (e ovviamente mangiarle subito). La signora ci invita a coglierne qualcuna, rassicurandoci che l’acqua di irrigazione è pulita. Appena diamo il primo boccone il palato scoppia di sapori. Una fragola così gustosa non l’avevo mangiata da tempo. Non posso fare a meno che prenderne un’altra. Cerchiamo di comunicare la nostra eccitazione alla signora che ci dice che queste sono buone perchè lei non usa fertilizzanti chimici, ma naturali. Me le mangerei tutte!
Lei le vende il giovedì e la domenica al mercato della comunità, quanto vorrei andarci e comprarne a chili!!

Adesso purtroppo il tour sta per finire, dalla collina coltivata da cui si gode una bellissima vista panoramica, scendiamo di nuovo verso la cittadina. Dato che Marco aveva espresso apprezzamento per la camicia tipica ricamata, ci portano nelle bancarelle del paese. Una di queste è della figlia di Jacinto, che però non c’è perché lavora anche al comune. Una sua concorrente della bancarella accanto però ci sa dire i prezzi. Non sono economicissime, ma l’amore mio ne cercava una così da Otavalo, quindi anche se abbiamo fatto numerosi acquisti in questi giorni ci compriamo anche questa. Marco è felicissimo e questo basta!!

Messias adesso ci riaccompagna a Cuenca. Il viaggio di ritorno è un po’ più quieto, siamo tutti un po’ stanchini. Ad un certo punto però pensiamo di chiedere a Messias se sa il nome della canzone che abbiamo sentito nei vari festival in Ecuador e che ci è tanto piaciuta. Abbiamo provato a cercarla da soli, ma senza risultato. Iniziamo ad intonare il ritornello come ce lo ricordiamo, con pochissime speranze, e invece lui ci indica subito un titolo. Vado subito su internet a cercarla ED È LEI!!!! Siamo così felici che la ascoltiamo tutta cantando tutti insieme il ritornello. Un momento di estrema ilarità!

Verso le 17.30 siamo di nuovo a Cuenca, salutiamo di cuore Messias cercando di comunicargli che siamo stati veramente bene e che ci è piaciuto il suo lavoro (la mancia che gli abbiamo lasciato lo spiega meglio delle nostre parole in spagnolo!). Lui ci dice che ci ricorderà sempre e noi imbarazzati da tanto sentimento ce ne andiamo per non cadere in lacrime. Gli auguriamo tutto il meglio per i suoi progetti, tra cui quello di viaggiare in Perù e Bolivia in bici con il figlio di 11 anni!

Il tour è costato tanto, sappiamo ormai valutare quando un costo è eccessivo, però è stato anche emozionante e interessante andare all’interno di una cultura completamente sconosciuta. Per questo ne è valsa la pena...e chissà se ci ha aperto la porta per collaborare nel progetto di Taita Jacinto!

Adesso dobbiamo aspettare circa 4 ore prima del nostro autobus notturno verso il Perù. Di andare in giro non abbiamo più voglia, quindi ci posizioniamo nell’area comune della guesthouse. Prima di partire mangiamo gli avanzi della cena di ieri, poi prepariamo gli zaini ed andiamo, giusto in tempo per non scambiare troppi discorsi con una ragazza ospite della guesthouse con il classico profilo della viaggiatrice che ne ha passate di tutti i colori e le sa tutte (come siamo asociali!!). 
Il piano era di prendere un taxi per il terminal degli autobus dato che andare a piedi di sera è sempre sconsigliato, però quando vediamo le facce dei tassisti che sono in giro a quest’ora ci chiediamo se sia più sicuro mettersi nelle loro mani o andare con le nostre gambe.
Camminiamo fino alla zona del mercato. Ci sentiamo sicuri e le strade sono ancora affollate di persone e di auto. Superata questa zona ci sentiamo un po’ meno sicuri, visto che l’ultimo pezzo di strada diventa più buio e isolato. Da qui quindi prendiamo un taxi fino al terminal. 

Ci aspetta un’altra notte scomoda in autobus, ma questa volta è anche peggio perché quando arriviamo alla frontiera, verso mezzanotte, dobbiamo svegliarci e svolgere le formalità di uscita dall’Ecuador e ingresso in Perù. Avevamo letto ovunque che il viaggio di notte era meglio e il passaggio in frontiera più rapido e indolore che durante il giorno. Invece quando arriviamo l’assistente del bus ci dice che il sistema informatico della parte peruviana non funziona e dobbiamo aspettare fino alle 4 o 5 del mattino. Ottimo!! 
Scendiamo, andiamo a farci fare lo stampo di uscita dall’Ecuador e poi rientriamo nell’autobus per dormire un altro po’ fino a che i computer peruviani decidono di funzionare. Questo è il piano, peccato che i sudamericani non hanno il concetto di notte e giorno e attaccano a mettere musica nel cellulare a tutta palla. Ah, le cuffie, queste sconosciute! Un ragazzo inglese dopo un po’ va a dire alla ragazza di mettersi le cuffie che vogliamo dormire. Li per li volevo stringergli la mano, ma poi ha iniziato a parlare a voce alta con la sua ragazza per un’ora, lamentandosi di ogni cosa e dentro di me ho formulato offese senza fine...ma non ho mai il coraggio di fare troppo la scorbutica. 
Alla fine riprendo sonno per un po’, fino a che ci svegliano per fare lo stampo di ingresso in Perù. Ci mettiamo in fila, mezzi addormentati, ma non si smuove niente e così rimaniamo un buona ora ad ascoltare la coppia inglese (sempre quella di prima) che si vantava con un ragazza venezuelano di tutti gli stampi che avevano nel passaporto. 
Noi invece facciamo amicizia con un personaggio enigmatico. È un messicano che vive in San Francisco - California (ce lo ripete 10 volte, ogni volta specificando California). È un medico legale in pensione che si sta godendo la vita viaggiando. Ci dice che preferisce viaggiare con il passaporto americano, perché con quello messicano pensano sempre che sta nascondendo droga. Data la stranezza del personaggio, mi viene in mente della storia che ci ha raccontato il marocchino incontrato nella frontiera Colombia - Perù. Mentre stava attraversando la frontiera tra Messico e Costa Rica, un ragazzo gli ha infilato una busta di droga nello zaino. Per fortuna se n'è accorto subito ed è andato a parlare con la polizia. Pensa tu che guai avrebbe passato se non se ne fosse accorto. I brividi solo al pensiero! 

Dopo un altro paio d’ore di sonno, molto poco rilassante, arriviamo nella ridente cittadina di Mancora, in Perù.

Clicca qui per tutte le foto dell’Ecuador