Cartagena parte I - Una caviglia malandata tra mille colori

09 - 11 Settembre 2019

Non so quante volte negli ultimi mesi ho sentito nominare Cartagena. Ognuno a cui dicevamo che saremmo andati in Colombia ci consigliava di non perdere questa città. La Lonely Planet pure non risparmia certo recensioni positive. Noi, però, non sappiamo cosa aspettarci perché fino adesso le città turistiche colombiane non ci hanno attratto molto, ma siamo pronti ad essere stupiti dalla bellezza di Cartagena!
Il viaggio in autobus sembra semplice, sono solo 4 ore da Santa Marta. Alla stazione degli autobus veniamo assaliti da tipi che vendono biglietti di bus per Cartagena, ma noi ci vogliamo affidare alle compagnie ufficiali e compriamo il biglietto in uno dei chioschi. La scelta delle compagnia non è la migliore, l’autobus è piccolo e si affolla molto presto di persone una sopra all’altra...letteralmente.

L’aiutante dell’autista, la figura che di solito si occupa di raccattare più gente possibile, di raccogliere i soldi e gestire le fermate, qui esegue il suo lavoro egregiamente. Quando palesemente rimanevano solo 2 posti, tra l’altro addizionali (non postazioni permanenti ma sedili provvisori che si possono abbassare al bisogno), fa entrare una famiglia di 6 persone più valigie. Diciamo che anche questo aspetto è uguale all’Asia!

Dopo 2 ore, quando ci aspettavamo la fermata per il bagno e il pranzo, ci fanno di corsa cambiare autobus perché dicono che il nostro deve fare una fermata lunga, mentre cambiano possiamo continuare subito diretti a Cartagena. E il bagno? e il pranzo? L’aiutante dice che saranno previsti a breve, ma mente! Ormai al limite, quando l’autobus si ferma a fare benzina vedo un bagno e corro fuori facendo presente all’autista che stavo scendendo. Bene, questo è stato un enorme errore!! Già sono ansiosa di mio, ma quando a metà bisogno in bagno (avevo aspettato tanto!) l’autista inizia a suonare il clacson a ripetizione divento isterica. Finisco? Non finisco? è vero che Marco è dentro all’autobus, ma questi ci mettono poco a prendere e partire lo stesso! All’ennesimo clacson decido che basta, esco dal bagno e corro verso l’autobus. Ora, le superfici colombiane non sono le più lisce (senza considerare che spesso si trovano tombini o voragini aperte dove non sarebbe piacevole cadere!). Io poi delle caviglie vergognose, complici le numerose distorsioni avute nell’arco degli anni. Quindi buche ovunque + corsa + caviglie infelici = distorsione alla caviglia!
Ormai lo sento subito se non è niente o se è più grave e questa è a metà strada, cioè non dovrò star ferma mesi, ma sicuramente alla fine di questo viaggio in autobus non sarò in grado di camminare. Che in un viaggio zaino in spalla, itinerante e dove camminare è indispensabile non è proprio una bella aspettativa.
Quando entro in autobus lo dico subito a Marco che sbrocca, mentre io mi maledico. E ora come facciamo? Sicuramente dovremo cambiare piani. All’inizio sembra tutto complicato, ma nelle 2 ore restanti di tragitto capiamo che non è così un dramma. Dobbiamo solo allungare la nostra permanenza a Cartagena di qualche giorno e nel frattempo possiamo frequentare una scuola di spagnolo, cosa che volevamo fare comunque a breve. I nostri animi si risollevano un po’.

La stazione dei bus di Cartagena si trova molto fuori dal centro, circa una mezz'ora. Il taxi è l’unica nostra alternativa con la mia caviglia fuori gioco. abbiamo qualche discussione con i taxisti che cercano di alzare il prezzo scritto a caratteri cubitali in un cartellone, ma dobbiamo arrenderci. E’ comunque la prima volta che in Colombia ci troviamo a litigare con i taxisti su un prezzo, finora abbiamo avuto un’esperienza sorprendentemente positiva in cui nessun tassista ci ha mai chiesto di più di quanto pattuito (cosa invece all’ordine del giorno in tutta l’Asia).

La scelta dell’alloggio (fatta prima della distorsione) si è rivelata positiva per la situazione in cui siamo adesso. Abbiamo prenotato un Airbnb in quartiere tranquillo, poco distante dal centro. Abbiamo una camera con bagno condiviso, ma la casa è enorme e possiamo usare tutti gli spazi comuni, compresa cucina, salotto e un balcone. E’ l’ideale adesso, invece che ritrovarsi in una minuscola stanza di albergo, visto che nei prossimi giorni dovrò stare a riposo forzato.
Per prima cosa, mi metto nel letto con la caviglia alzata e Marco va a cercare del ghiaccio. Seconda e importantissima cosa, dobbiamo cercare delle stampelle per avere un minimo di mobilità e indipendenza. Su internet trovo un negozio di articoli ortopedici che sembra ben fornito e non è molto distante. Prendiamo un taxi che ci porta lì. Il negozio è all’interno di un centro commerciale in cui ci danno l’uso di una carrozzina. Top! Mi sembra di rivivere la stessa esperienza di quando mi sono slogata la caviglia in Nuova Zelanda non più di 2 anni fa!
Nel negozio ci assiste una ragazza molto gentile e con poche decine di euro compriamo un paio di stampelle vecchio stile e una fascia con le stecche per tenere la caviglia immobile. Avremmo potuto affittarle le stampelle, ma ancora non riesco a capire quanti giorni mi serviranno per riprendermi e potrebbero essere utili anche quando ci sposteremo a Medellin.

Tornando all’Airbnb poi prolunghiamo di 2 giorni la nostra prenotazione e troviamo anche una scuola di spagnolo a due passi da casa, in cui andremo a chiedere informazioni domani.
Adesso che è tutto sistemato siamo decisamente di umore migliore. Nonostante l’imprevisto abbiamo sistemato tutto e ci siamo rimessi in carreggiata. Ordiniamo una cena cinese su UberEats che gustiamo nel terrazzino e poi nanna.

Ci svegliamo riposati dopo le vicissitudini di ieri. L’amore mio va a comprare qualcosa per colazione e poi ci dirigiamo verso la scuola di spagnolo. Purtroppo i corsi di gruppo sono già iniziati ieri, ma possiamo fare lezioni private. Scegliamo di fare lezione da 3 ore per i prossimi 4 giorni, iniziando da oggi pomeriggio. La scuola ci dà una buona impressione, sono tutti gentili e organizzano ogni giorno un'attività di gruppo di cui però non possiamo usufruire data la mia scarsa mobilità.
Soddisfatti della decisione di impiegare questi giorni in qualcosa di proficuo, ci dirigiamo un’oretta verso El Centro per scoprire questa città. Camminare con les muletas (le stampelle) non è la cosa più confortevole ma almeno posso muovermi invece di stare confinata in casa.

Cartagena
Niente mi fermerà!!

Il ragazzo della scuola di spagnolo ci insegna che per andare in centro possiamo prendere dei taxi condivisi che costano assai meno che prendere un taxi solo per noi. Per prenderli dobbiamo metterci a lato della strada e fare un segno con la man di quanto siamo disposti a pagare, se il taxi accosta il patto è fatto! Sapere queste piccole cose non ha prezzo, primo perché ci consente di risparmiare e secondo perché è un passo verso la cultura del luogo.
Forti di questo insegnamento attraversiamo la strada e Marco inizia a fare 2 con la mano, che significa 2000 pesos ciascuno, l’equivalente di circa 70c di euro. Sorprendentemente un taxi, con già una passeggera, si ferma e ci porta in centro per la cifra pattuita. Allora funziona!! Che ganzo…

Cartagena
Le mura di Cartagena

Superiamo le mura che separano il quartiere Getsemani da El centro e subito capiamo che ci saremmo innamorati di questo posto. Come diceva la Lonely Planet, ogni angolo è una cartolina. Viuzze che si intrecciano, colori vivaci, edifici con balconi stile coloniale, pieni di colori e di piante, attici che sembrano giardini.

Cartagena
Ogni scorcio una cartolina

Purtroppo io vado molto lentamente e mi stanco spesso, ancora si devono formare i muscoli adeguati per saltare sulle stampelle. Il caldo poi si sta facendo insopportabile, gocciamo di sudore...e non in maniera metaforica!
Per farmi riprendere un poco, ci fermiamo in un bar con musica salsera a palla. Il locale è molto carino, ma ci accorgiamo che è più orientato verso cocktails piuttosto che succhi di frutta. Ci fermiamo per un po’, così posso distendere la gamba e chiamo i miei per metterli al corrente dell’accaduto, mandando anche una foto di me sorridente così vedono che sto bene!

Adesso è ora di tornare verso il nostro quartiere, Manga, per poter pranzare e stare alla scuola di spagnolo per le 13, in modo da fare il test di ingresso. Oggi il pranzo prevede riso in bianco, perché, per non farci mancare niente il mio stomaco è un po’ irritato...forse ho bevuto troppe limonate in bancarelle poco raccomandate (regola numero uno del viaggiatore: mai bere acqua non in bottiglia! però queste limonate sono speciali!!).

Selfie in Cartagena
Un pranzo da re nel nostro Airbnb!

Il test a scuola dura circa un’ora con domande di grammatica, testo da leggere, parte orale e tema scritto. Mentre sulle prime due qualcosa sappiamo fare, per parlare e scrivere è un tantino troppo prematuro, l’unica cosa che sappiamo dire è: cuanto cuesta?
Dopo il test, in cui attestano che siamo beginners (ma va!) e soprattutto che siamo allo stesso livello quindi possiamo fare lezione insieme, ci presentano la nostra insegnante Diana. E’ una ragazza piccolina, ma molto simpatica e spigliata.
La lezione si svolge interamente in spagnolo perché dato che siamo italiani riusciamo a comprendere. Diana poi è molto brava e parla con un ritmo tale che possiamo seguirla senza problemi.
La lezione oggi è rivolta a genere e numero dei nomi e aggettivi, cosa che però abbiamo anche in italiano quindi per noi è facile capirlo. Speriamo che domani si passi a cose più complesse, ma da qualche parte dobbiamo iniziare!

Dato il mio stato, stasera non usciamo ma passiamo il pomeriggio/serata in casa. Oggi ho già stancato il piede abbastanza e non voglio esagerare. Passiamo dal minimarket per comprare la cena e troviamo i tamales, pietanza tipica della regione di Bogotá di cui ci ha parlato poco fa la nostra insegnante. Non possiamo non assaggiarli. Sono fatti di un impasto di riso e carne avvolto in foglie di banano (che vanno alla grande anche qui come in Asia, d’altronde sempre ai tropici ci troviamo!).
Ceniamo sul balconcino della casa con ancora una temperatura che sfiora i 30 gradi ma almeno tira un timido venticello. Mentre mangiamo arriva una nuova ragazza nella casa che si siede con noi a cena e facciamo amicizia. Sia noi che lei siamo un po’ timidi ed introversi quindi all’inizio la conversazione fatica un po’ a decollare, ma poi diventa piacevole. E’ una ragazza americana che vive da un anno in Costa Rica in cui dirige una scuola di inglese e spagnolo. Finalmente da quando siamo arrivati possiamo parlare una lingua che conosciamo e su cui ci sentiamo sicuri. Che strano! Quando siamo in Australia ci sentiamo sempre un po’ in difetto per la nostra pronuncia e per l’inglese non al top, mentre qui, dopo una settimana di serie difficoltà comunicative in spagnolo, in cui abbiamo sentito la frustrazione del non sapersi esprimere, parlare inglese ci fa sentire a casa e capaci di comunicare!
Ricordo bene che quando viaggiavamo in Asia non era affatto così, le volte in cui parlavamo in inglese con altri ragazzi che stavano viaggiando come noi era sempre una pena. Si, comunicavamo, ma veramente in modo stentato e ci sentivamo frustrati come ora ci sentiamo in spagnolo. In gruppi di persone madrelingua venivamo sempre lasciati da una parte perché non riuscivamo ad essere rapidi a rispondere o a dire quello che ci passava in testa. Dopo più di due anni in Australia, adesso ci accorgiamo che riusciamo a passare dall’italiano all’inglese in un batter d’occhio e sembra tutto molto naturale e fluente. Che bella sensazione!!

Giorno 3. Stamattina abbiamo la seconda lezione di Spagnolo. Ci facciamo una colazione in casa e usciamo.
Alle strisce pedonali di fronte alla scuola troviamo di nuovo la signora-semaforo che si occupa di coordinare il traffico nell’incrocio (pur essendoci semafori sia per le auto che per i pedoni). Mi riconosce (date le stampelle) e mi dice che oggi mi vede meglio. Poi ferma tutte le macchine per farmi passare pur essendo il semaforo dei pedoni ancora rosso. Di fronte a cotanta umanità senza secondi fini mi vengono le lacrime e subito la signora entra nel mio cuore. Tutti i giorni, andando a scuola, faccio in modo di passare vicino a lei e salutarla. Quando tutti gli affetti e le persone che si prendono cura di te sono lontane (a parte il mio bellissimo maritino) qualsiasi persona dai gesti gentili diventa casa.
Oggi la profesora è più preparata di ieri, ha con se un programma di ciò che vuole insegnarci e del materiale da consultare. La lezione è principalmente sul verbo essere e i suoi usi, ma divaghiamo molto anche nella memorizzazione di vocaboli utili. La cosa bella di questo corso “personalizzato” è che in qualunque momento possiamo fare domande che portano alla spiegazione di qualche altro concetto non previsto nella tabella di marcia. Ci dilunghiamo anche in discorsi legati agli usi di qui e alle differenze culturali con l’Italia.
A metà mattina facciamo una pausa e nel giardinetto fuori dalla scuola raggiungiamo il gruppo di ragazzi che sta facendo il corso di gruppo. Sono principalmente tedeschi, ma c’è anche un americano e con loro facciamo la nostra prima conversazione in spagnolo. Cose molto semplici, tipo da dove veniamo, da quanto tempo siamo in Colombia, etc, ma è già una soddisfazione per noi spiccicare quelle due parole.

Dopo la lezione torniamo a casa per pranzo (strano che essendo fissi nello stesso giorno per più di due giorni già lo sento un po’ come casa). Il menu non è molto invitante: riso in bianco con un po’ di formaggetto, per curare anche i miei problemi intestinali.
Ci prendiamo un’oretta per riposarci, chiamare i nostri genitori e rilassarci per poi andare di nuovo alla scoperta di Cartagena. Muletas alle braccia, taxi condiviso e via!
Oggi il piede va meglio e riuscendo ad appoggiarlo riesco anche ad andare più veloce e stancarmi meno. Essendo poi già tardo pomeriggio il caldo asfissiante si sta un po’ attenuando. Tutti ingredienti per goderci il centro molto più di ieri, adesso riesco davvero a notare la bellezza di questi piccoli vicoli tappezzati di case coloratissime.

Cartagena
Dietro ogni angolo si nasconde un gioiello

Nel frattempo che ci perdiamo nelle stradine facciamo anche qualche spesa, come la borsa tipica colombiana che uomini e donne indossano per ogni occasione, di ogni colore e dimensione. L’originale si chiama borsa arhuaca fatta dalla tribù Aruhaco della Sierra Nevada. I colori di questa versione originale non sono quelli sgangiarti che si vedono nei negozi di souvernirs, e sono sicuramente meno attraenti a prima vista. Noi, pero, dopo averci pensato mille volte abbiamo deciso di comprare quella originale e troviamo una bancarella per strada che fa proprio al caso nostro.

Cartagena
Il pittoresco venditore di borse arhuaca

Proseguiamo poi in Parque Bolivar, una piazza immersa nel verde che in realtà non è un granché. Li però incontriamo Palenque. Il nostro amico Palenque, di cui non ricordo il vero nome, dice di essere soprannominato cosi perché la madre è una palenquera, ovvero una di quelle signore vestite con vestiti tipici africani che un tempo vendevano frutta a Cartagena, trasportando cesti in testa. Adesso le palenquere che si vedono in giro per Cartagena non sono li a vendere frutta, ma ad attirare turisti e chiedere soldi per fare foto con loro. Ma questa è un’altra storia. Eravamo rimasti a Palenque, il figlio di una palenquera. Lui adesso vende pietre preziose a prezzi straccati in giro per la città. Per provarci che sono pietre vere e non plastica le espone al fuoco di un accendino dimostrandoci che non si sciolgono, come invece farebbe il materiale plastico. Ci fa vedere una miriade di pietre diverse spiegandoci tutti i loro significati ed insiste per farci comprare uno dei suoi braccialetti. Dopo un buon quarto d’ora riusciamo a sganciarci da lui che pero ci vuol fare vedere la sua bontà e ci regala due piccole pietre. Quando ci allontaniamo faccio notare a marco che una di esse è palesemente un dente estratto e colorato di rosso. Marco le getta al primo cestino!

Palanqueras a Cartagena
Le timide “Palanqueras” per le vie di Cartagena

Continuiamo a passeggiare (lentamente) senza una meta non precisa. Facciamo foto in ogni angolo con ogni mezzo che abbiamo, compresa la instax mini che però ci delude questa volta!
Arriviamo fino al teatro e alle mura che danno sul mare. La vista del mare da qui non è il massimo; essendo la città uno dei porti più importanti della Colombia, le acque non sono molto limpide.
Tornando indietro l’obiettivo (per me) è di comprare un vestitino estivo che posso sostituire a pantaloncini corti e maglietta che ormai porto da tempo immemore essendo l’unico capo estivo che possiedo (li ho anche lavati un paio di volte nel frattempo, non siamo cosi trasandati!). Dopo una ricerca estenuante riesco a trovarne uno che mi piace abbastanza.
Prima di riprendere la strada verso il nostro quartiere, ci fermiamo in un barretto per riposare il mio piede. Scelta sbagliatissima. Prendiamo 2 caffe freddi che sono imbevibili, paghiamo un botto e in più insistono per avere la mancia e quando gliela diamo ci dicono che ne vogliono di più. Quando un posto ci soddisfa non badiamo a spese, ma questo proprio non si meritava neanche 50cent.
Dalla strada fuori dalle mura prendiamo un taxi per tornare indietro, questa volta non condiviso perché dopo una certa ora non funziona più cosi. Decidiamo di fermarci a cena in un posto di poco calibro che avevamo visto tornando dalla scuola di spagnolo. Purtroppo il menu dell’almuerzo non è più disponibile, pero troviamo qualcosa senza infamia e senza lode da mangiare.
Che giornatina densa, nonostante la mia caviglia!

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