Quilotoa Loop Part II - Il lago nel vulcano

27 - 28 Settembre 2019

Ci svegliamo presto in modo da essere pronti quando, alle 7e30, daranno la colazione. Guardo subito fuori dalla finestra e, anche oggi, il tempo promette molto bene: é tutto sereno con solo qualche nuvola bianca. Facciamo gli zaini e ci vestiamo come ieri, tranne per il fatto che oggi scelgo una maglietta a maniche corte.
La colazione è gustosa come la cena del giorno prima, devo dire che ci sanno proprio fare ai fornelli, anche solo per preparare una omelette alle verdure. Ci facciamo preparare 3 panini per pranzo, ricarichiamo le bottiglie di acqua e siamo pronti. Partiamo per le 8e30.
Nella prima parte del trekking di oggi dobbiamo riscendere al fiume attraversato ieri per poi risalire dall’altra parte del canyon. Nel blog che stiamo seguendo con tutta la guida passo passo del percorso, come introduzione alla tappa di oggi, mettono che la navigazione è quantomeno confusionaria. Almeno se si sceglie di percorrere la via originale.

Si, perché dato che in questa tratta non era facile seguire il percorso, ora gli ostelli suggeriscono un percorso alternativo lungo una strada sterrata.
Noi siamo quasi per percorrere la nuova via, ma poi, come spesso accade quando ci troviamo al momento di scegliere, decidiamo di aggiungere un po´ di pepe all'avventura. Come se già non bastasse fare un trekking di tre giorni nelle montagne dell'Ecuador per saziarci. Abbandoniamo quindi la strada bianca per un sentiero stretto che segue un rivolo d'acqua lungo la valle. Già ci sentiamo elettrizzati.

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Pochi metri dopo il bivio!

L’esserci allontanati da una strada, per quanto di campagna, da già tutto un altro sapore alla giornata. Ci sembra tutto più selvaggio e quindi più bello.

Il primo tratto un po’ confusionario arriva quando dobbiamo trovare il sentiero che discenda le pareti verticali del canyon. Dalla mappa sembra ci siano diversi sentieri che portano al fiume. Il primo è in una valle in cui la vegetazione ha riconquistato tutto lo spazio, di qui non si passa.
Il secondo sembra utilizzato e ben tracciato e lo iniziamo a seguire. Costeggiamo dei campi coltivati e poi finiamo dritti dentro un quadrato di casupole di fango. Il sentiero sulla mappa passa proprio di qui. Avanziamo circospetti gridando ¨HOLAA¨ per evitare di passare per ladri. Speriamo anche non ci siano cani! Fortunatamente non troviamo nessuno e proseguiamo diritti tra i campi coltivati ed il dirupo del canyon.
Sulla sinistra, in mezzo a della vegetazione bruciata dai fuochi di ¨depurazione¨ che fanno qui, troviamo il sentiero che scende a zig zag la parete. Non dà l'idea di essere la migliore scelta, è piuttosto ripido e stretto, e il bruciaticcio intorno non aiuta.
Nel frattempo individuiamo la terza via in lontananza: una larga e perfettamente battuta stradina che scende dolcemente al fiume. E te pareva che non finivamo sulla traccia peggiore!!! Ma oramai siamo su questa via e nonostante ci malediciamo un po’ per il nostro sadismo dell’avventura, imbocchiamo il ripido sentiero nel boschetto bruciato.
Dobbiamo fare un po´ di macumbe anche per trovare il passaggio sul filo spinato che ci riporti sulla traccia principale ma, alla fine ce la facciamo.

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Il paesaggio è meraviglioso intorno a noi

Il sentiero prosegue dentro una stretta valle che sbuca sul canyon. In questa però, per una simpaticissima coincidenza di pendenze e contropendenze, più la presenza di una (maledettissima) sorgente, la traccia passa in un vero e proprio pantano. Il tutto è non più lungo di venti metri ma non vediamo proprio come poter passare senza avere l'acqua (marrone) alle caviglie. Iniziamo ad avanzare su uno dei due lati, quello che sembra con i bordi più alti e che costeggia un filo spinato, perché più promettente. Neanche sto a dire che, ovviamente, a metà metto un piede in una zona che sembrava erba asciutta e questa risucchia il mio piede nella melma. Tiro un ¨porco giuda¨ e proseguo senza pensare di avvertire Erika del pericolo. Altrettanto ovviamente, ci finisce dentro anche peggio (fortunatamente senza che l´acqua le entri nella scarpa), tira giù qualche maledizione e mi cazzia per non averla avvertita. Mi pare giusto. Ora però siamo bloccati. Su questo bordo c'è un alberello che blocca la strada e non c'è possibilità di attraversarlo. Di saltare nell'altro bordo non se ne parla, troppo distante e poco promettente. Non sappiamo che fare. Poi ci viene in mente di attraversare il filo spinato!! Uno potrebbe dire ¨che volpi che siete, non ci potevate pensare prima?”. Si, effettivamente è vero, ma a nostra discolpa quello era il filo spinato più fitto che abbia mai visto. Facciamo un misto di contorsionismo e limbo (e imprecazioni al dio del rivolo d’acqua) ma riusciamo in poco tempo a sbucare di nuovo sul sentiero asciutto.

Da qui, dopo una discesa, arriviamo finalmente al fiume di ieri. Da qui in avanti è tutta salita. Sempre che riusciamo ad attraversarlo. Infatti questa è la seconda parte confusionaria. Secondo i ragazzi che hanno scritto la guida ora bisogna risalire lungo del fiume fino ad un ponte di legno. Ma non il PRIMO ponte di legno, fatto solo di tronchi malamente appoggiati a dei sassi. E neanche il SECONDO ponte di legno, con le assi dall'aspetto malandato. Ma al TERZO. Il problema è che loro, non sapendo che ce n'era un secondo ed un terzo sono passati al primo, che sconsigliano, ma non sanno se c'è un sentiero dopo quello perché loro non lo hanno fatto. Le premesse sono fantastiche.

Iniziamo a camminare lungo la sponda, apriamo e richiudiamo un paio di cancelli per le mucche lungo il sentiero. Manco facciamo due passi che due cani incazzati come bestie iniziano a correrci contro da delle casette di fango, abbaiando con tutto il fiato che hanno in corpo. Erika perde un attimo la compostezza (leggi: grida come un aquila) ma stando fermi e agitando in aria i bastoni i due bersaglieri si fermano. Dalle case esce una vecchina che richiama i cani e, con una lentezza millenaria, si avvicina a noi. Gli chiediamo come si arriva a Chigchulan e lei ci dice che non si può. Ma possiamo tornare indietro da dove siamo venuti che c’è un rifugio...ma va?

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L’incontro con la vecchina

Poi chiedo se invece il sentiero che sale porti a poter attraversare il fiume su un ponte e lei ci dice che quello porta a Chigchulan. Siamo perplessi. O le barriere linguistiche sono troppo limitanti o la nonnina ha masticato troppe foglie di coca. Opto per la prima per rispetto.

Ringraziamo e ci incamminiamo per il sentiero che sale e, sotto di noi vediamo passare prima il ponte di legno fatto di tronchi e poi quello instabile. Ci fermiamo per una pausa merenda dove il fiume forma una bella ansa.
Continuiamo a camminare per la valle “incantata” e ferma nel tempo. Incontriamo altri due vecchini intenti a gestire una piccola mandria di mucche. Loro vogliono parlare ma i nostri spagnoli si equivalgono e quindi ci scambiamo solo tanti sorrisi e auguri.
Finalmente arriviamo al tanto atteso ponte fatto con un grande tronco di albero. Di spazio per passare ce n’è a sufficienza ma devo dire che fa impressione ugualmente.

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L’attraversamento del fiume

Decidiamo che dopo questa grande conquista ci meritiamo il panino della signora. Ci sediamo all’ombra di un albero e mangiamo. Riprendiamo ricaricati ma non troppo appesantiti e camminiamo per una carrareccia in falsopiano per una mezz’ora, fino ad arrivare ad un villaggio di trenta case nel mezzo del nulla, ma con una chiesa, una scuola e un negozietto. Ci sono anche 4 o 5 bambini, probabilmente gli unici frequentanti della scuola, che ne stanno spazzando il piazzale. Non si vedono altre presenze umane.

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Un villaggio nel mezzo del nulla

Da qui inizia un sentiero ripidissimo che, in 25 minuti e 250 metri di dislivello, ci fa superare, in un solo colpo, la parete del canyon. In cima, un bellissimo punto panoramico ci dà l’idea della strada fatta oggi.

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In cima al canyon

Alcuni bambini ci fermano chiedendoci caramelle, altri di comprare qualcuno dei loro prodotti. Ai primi regaliamo una mela, anche se dai loro occhi non sembrano così soddisfatti, mentre ai secondi compriamo della frutta secca che ci garantiscono essere un prodotto locale. Questi ultimi ci rassicurano anche che per Chigchulan mancano solo 40 minuti di cammino abbastanza pianeggianti.

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Verso Chigchulan

Di questi purtroppo 30 minuti dobbiamo farli su una strada asfaltata con macchine e autobus che sfrecciano accanto a noi incuranti. Piuttosto noioso.
Arriviamo all’Ostello verso le 2. Questo ci fa una bella impressione ma è immerso in un contesto più “cittadino” o quantomeno civilizzato di quello di ieri. La grande strada asfaltata che gli corre davanti non gioca a suo favore.
Le camere però sono bellissime e ci sono anche decine e decine di amache da poter utilizzare per riposarsi.

Passiamo il pomeriggio tra una cioccolata calda, l’amaca, la zona comune, una partitella a ping pong e un po’ di lettura. Ci piace arrivare presto e potersi così riposare e godere dell’ambiente rilassato del rifugio.

Alle 7e30 in punto siamo nella sala da pranzo dove verrà servita la cena. Ci sediamo con una coppia composta da un tedesco e una francese e, superata velocemente la dovuta fase in cui si deve sbrodolare tutto il lungo viaggio che si sta facendo, manco si facesse a gara, la conversazione passa su argomenti più relativi alla vita in generale.
La cena è buona, ma non gustosa come quella di ieri sera. Finito di mangiare però, il cameriere passa per spiegarci il percorso di domani. Ci fa ridere un mondo che per disincentivarci dal prendere una determinata strada ce la descrive come “EXTREME ADVENTURE”. Ok amico, non preoccuparti non ci andiamo.
Dopo cena ci ritiriamo di nuovo nella sala comune per una partita a ping pong e a biliardo. Quando poi la sala viene invasa dal gruppone di francesi, noi ci defiliamo molto volentieri.

Usciamo fuori per tornare alla nostra stanza, quando della musica che proviene dal fondo della via ci colpisce. Sembra un festival! Senza neanche passare a prendere qualcosa di più pesante o la macchina fotografica, ci precipitiamo in strada. Arriviamo alla piazzetta del paese e capiamo che qualcosa bolle in pentola. È piena di gente, ci sono venditori ambulanti che arrostiscono cose, musica e polizia. Si è decisamente una festa! L’atmosfera però sembra un po’ spenta e non capiamo se è perché sta per iniziare qualcosa o perché è appena finito. I dubbi ci vengono tolti quando un personaggio, identificatosi come il responsabile della parrocchia del paese, ma con poca voglia di essere sul palco questa sera, prende la parola e inizia a presentare la serata. Le casse decisamente sottodimensionate messe a volume massimo sembrano che debbano scoppiare da un momento all’altro, il palco traballa pericolosamente e nessuno da retta a sto poro cristo che parla. Nemmeno quando chiama le persone o i gruppi nessuno si presenta per lunghissimi minuti. Tempo che sempre il poro cristo deve riempire come può, parlando del programma del giorno dopo, sgolandosi a chiamare di nuovo il nome del richiesto, ridicendo il programma del giorno dopo, presentando persone già presentate e così via. Almeno il programma del giorno dopo lo sappiamo bene. Finito il preambolo iniziale finalmente capiamo di cosa si tratta questa festa. È la sfilata per eleggere Miss Campesina 2019! Mica pizza e fichi. Le tre concorrenti, tra i 15 e i 18 anni e ognuna di un quartiere diverso, sembrano ancora delle bambine e, più che sulla bellezza, la competizione si basa sul rispetto e la valorizzazione delle tradizioni. Ci sentiamo le presentazioni delle tre aspiranti miss. La più spigliata dice anche due parole in inglese stentato! Prossimo anno si candida a sindaco altro che miss! Vai Jessica siamo tutti con te!!

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Momento catartico durante l’esibizione

Il presentatore manda poi le ragazze a cambiarsi per il ballo. La cosa si fa interessante e vogliamo avere almeno un ricordo di questa serata! Decidiamo di rischiare: corriamo in albergo a prendere machina fotografica e giubotto. Contiamo sul fatto che il presentatore non ha proprio in mano la serata e quindi i tempi saranno lunghi.
Difatti torniamo che ancora il ballo non è iniziato. Ci sono ancora le bande che suonano. La banda di ogni quartiere ci delizia con una hit ecuadoregna e tutto il paese balla! Ci sono più suonatori di tromba in questo paese che in tutta Italia penso. L’euforia e il campanilismo iniziano a salire e tutti ballano, specialmente quando la loro banda suona. Noi non ci tiriamo indietro e quando un vecchietto ci tira dentro noi ci facciamo trascinare volentieri. Erika balla con lui, io con la moglie e raccogliamo sguardi di approvazione di tutti.
Le performance di ballo tradizionale non ci deludono affatto anche se il palco rischia di cadere tra un salto e una giravolta. ll pubblico del quartiere della ragazza sul palco di volta in volta tifa come allo stadio. I costumi tradizionali vengono spiegati puntigliosamente dal presentatore e anche le azioni vengono descritte e viene sottolineata la loro importanza (come la raccolta del grano ad esempio). I balli sono tipici ecuadoregni, quindi semplici ma ritmati. Ci sono anche dei tentativi di corruzione della folla con lancio di caramelle dal palco. La competizione è serratissima.
La musica è strepitosa e ci innamoriamo di una canzone (quella della performance di Jessica) in particolare che riteniamo poter essere una hit per l’estate 2020 in Europa: Zapateando Juyayai degli Jayac .Impossibile resistere al ritmo!
Insomma tra un ballo, un rullo di tamburi e un po’ di tifo a caso, passiamo un’ora in allegria. Vorremmo stare fino alla fine ma sono già le 10e30 e domani ci aspetta il tratto più duro del trekking. Andiamo a dormire essendo sicuri, nei nostri cuori, che Jessica straccerà le altre due anche alle successive prove.

Ci svegliamo presto per avere la colazione alle 7 in punto. Partiamo alle 8 che siamo i primi o quasi. I primi kilometri li facciamo scendendo per una facile strada bianca dove incontriamo tutti i residenti della valle che vanno in paese per il sabato.

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Si parte per l’ultima tappa!

Quando la strada comincia a salire abbiamo il primo dubbio da sciogliere: proseguire sulla carrareccia e avere più km ma più dolci o seguire le indicazioni per un sentiero che taglia ma che necessariamente sarà più ripido? Vorremmo risparmiare un po’ le gambe per la dura giornata che ci attende ma, guardando il dislivello sulla nostra applicazione di navigazione, non sembrano esserci improvvisi aumenti di pendenza nel percorso. Decidiamo quindi di seguire il sentiero. E quasi subito capiamo che la nostra app di navigazione l’ha sviluppata uno stambecco. Ci troviamo su una parete verticale con un ripido sentiero che procede a zigzag. Arriviamo in cima con il fiato corto e ci riagganciamo alla strada.

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Una strada da seguire

Quando ci allontaniamo di nuovo dalla strada, lo facciamo per imboccare la parete laterale di una bellissima valle che termina per una cascata. Piccole frane di sabbia da superare lungo il percorso rendono questo passaggio elettrizzante (leggi: ce la siamo fatta sotto).

Dopo la cascata è un’unica lunghissima salita fino al calderone del vulcano. L’altitudine, sopra i 3500m, inizia a farsi sentire e dobbiamo fermarci spesso a riposarci. L’ultimo tratto prendiamo, toppando clamorosamente, anche il sentiero più diretto. Ci malediciamo ad ogni passo ma oramai la frittata è fatta e dobbiamo continuare. Girandoci, di fronte a noi si apre tutta la vallata percorsa in questi giorni e ripercorriamo il cammino seguito. La visibilità è ottima ma vediamo dei nuvoloni bassi iniziare a scavalcare le montagne vicine. Dobbiamo sbrigarci. Che detto così pare facile ma quando sei su un sentiero con pendenza dell’80% tutto assume una prospettiva diversa. Saliamo affannosamente accompagnati da un fido cagnolino che non ci molla un secondo, va su come niente fosse e, dall’alto, ci guarda con uno sguardo pietoso, come a dire: siete un po’ pippe. Finalmente arriviamo in cima e lo spettacolo che si apre sotto di noi vale la fatica fatta (soprattutto perché sappiamo che è finita!). La faccia del cane dice: non avrei scommesso un osso che ce l’avreste fatta.
L’azzurro intenso del lago crea una dissonanza forte con il verde grigiastro delle pareti vulcaniche. Quello che lascia veramente senza fiato comunque è la vastità del cratere, davvero enorme.

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L’arrivo alla meta…stremati!

Ci infiliamo i goretex per proteggerci dal vento freddo e iniziamo la circumnavigazione del lago. Il sentiero sembra largo e ben battuto ma Erika ha un brutto presentimento: ci saranno pezzi esposti? Io la guardo strano perché non mi sembra affatto ci possano essere visto il sentiero che ci si para davanti. Continuiamo a culo dritto per un po’ fino ad un bivio. Prendiamo la via che ci sembra migliore, ma come da tradizione recente, non c’è due senza tre e ci troviamo su una lingua di roccia con un bello strapiombo verso il lago. Niente di particolarmente pericoloso ma fa comunque un certo effetto. Il cagnolino è sempre in mezzo ai piedi e non aiuta.

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Il sentiero esposto

Passiamo il pezzo difficile e proseguiamo verso Quilotoa. I nuvoloni iniziano a spuntare dalle creste che circondano il lago ma noi siamo quasi arrivati e ci fermiamo a mangiare qualcosa.

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Pranzo con vista!

La soddisfazione di avercela fatta è tanta e l’essere qui ci ripaga e ci riempie di orgoglio.
A Quilotoa facciamo altre foto di rito al lago e ai due llama che sono li apposta.

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Erika e i llama

 

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L’ultimo sguardo al lago

Incontriamo di nuovo i due francesi che sono stati nostri compagni di avventura fin dal primo giorno quando siamo scesi dall’autobus insieme. Cerchiamo di capire come tornare a Latacunga e mentre ci stiamo dirigendo verso l’autobus una macchina si ferma vicino a noi e ci offre lo stesso prezzo dell’autobus ma minor tempo. Accettiamo al volo nonostante dovremo viaggiare con gli zaini in braccio per tutto il tempo.
Chiacchieriamo un po’ con il guidatore, grazie anche ai due francesi che conoscono bene lo spagnolo, e ci conferma che stasera ci saranno altri festeggiamenti per il festival della “Mama Negra”. È uno dei festival più importanti dell’Ecuador e non possiamo perdercelo!!

Arriviamo di nuovo a Latacunga verso le 3 di pomeriggio che sta iniziando a grandinare. Con il tassista improvvisato avevamo concordato di farci lasciare al terminal degli autobus ma, visto che sono quasi due ore che siamo in macchina e Latacunga è un buco, non crediamo faccia molta differenza chiedergli se può invece lasciarci un pochino più verso il centro. Ovviamente ci sbagliamo e ci chiede più soldi. Io lo mando a cagare perché non ha alcun senso se non spillarci più soldi nel momento del bisogno e quindi scendiamo al terminal. Almeno ha smesso di grandinare.
Aspettando che spiova, ci mangiamo un pezzo di pizza che non rimpiangiamo assolutamente. Anzi, quasi quasi torniamo per cena!! Smette anche di piovere e ci dirigiamo verso l’albergo. Dopo una doccia calda la nostra dignità scende ai minimi storici e passiamo un pomeriggio trash come pochi altri: dolci, noccioline, succhi di frutta, rintanati sotto il piumone a guardare video di Youtube e cantare canzoni a squarciagola. Saltiamo anche sul letto quando la nostra canzone preferita ha raggiunto l’apice. Per qualche ora siamo regrediti a tredicenni in vacanza, ma che risate!

Verso le sette recuperiamo un contegno e usciamo. Lasciamo tutto a casa a causa delle ripetute raccomandazioni di tutti di stare attenti agli scippi. Purtroppo non avremo documentazione fotografica della serata ma basteranno i nostri ricordi. Veniamo subito attirati da un gran fracasso che proviene dal fondo della nostra via. Più ci avviciniamo e più la folla aumenta fino a circondarci completamente. Riusciamo a raggiungere delle transenne sulla via principale e ci troviamo nel mezzo di una sfilata assolutamente fuori di testa. Ci sono chiaramente diversi gruppi che sfilano, probabilmente diversi quartieri della città. Ognuno di questi ha un portantino che sulla schiena trasporta una sorta di totem fatto di animali arrostiti. Il più povero ha solo un maiale tipo uomo di Vitruvio, con le zampe tutte aperte. Quelli più ricchi, oltre a questo, hanno papere, polli, porcellini d’india tutti intorno a formare corone o decorazioni alla composizione. Ah dimenticavo anche una figura sacra nel centro del maiale. Posizione inusuale, a dir poco. Di fronte al totem, una banda suona musiche tradizionali con tutta la forza che la passione (e l’alcool) può dare. In prima fila, poi, un gruppo di ballerini si scatena a ritmo. Tutti sono vestiti tradizionali e l’atmosfera è contagiosa. Iniziamo a camminare lungo la transenna per vedere più gruppi possibili e ognuno sembra un festival a se completamente slegato dagli altri. Ad un certo punto controcorrente una decina di persone vestite come guardie di un califfato arabo accompagnano un bambino di non più di 10 anni su un cavallo, vestito da sultano azzurro. Tutti si scambiano bicchierini di una bevanda gialla che capiamo essere “Canelazo”, la bevanda alcolica a base di cannella e latte bollito, che Erika vuole provare da un secolo! Direi che oggi sarebbe veramente impossibile non provarla. Anche i bambini la bevono! (poi capiremo che ne esiste una versione non corretta!)
Seguendo questa allegra congrega di matti arriviamo alla piazza principale. La folla riempie quasi tutta la piazza, ballando e cantando sotto al palco le canzoni suonate a tutto volume dal gruppo musicale. I baracchini del cibo da strada cuociono qualsiasi cosa su piastre e barbecue improvvisati, inondando di fumo e profumi fantastici tutto il quartiere. Troviamo anche la bancarella del Canelazo e ce ne facciamo fare un bel bicchiere bollente. Corretto ovviamente! Mangiamo spizzicando (leggi: sfondandoci) da varie signore con differenti specialità, tutte con lo stesso quantitativo di grasso. Mentre mangiamo parte anche la musica sentita ieri a Chigchulan che ci fa impazzire e ci lanciamo nel primo ballo della serata.

Nel mezzo della folla spuntano anche grandi impalcature in legno, alte venti metri, che non capiamo se sono sculture o cosa. Io ipotizzo che gli daranno fuoco e Erika mi prende per matto: “ma sono in mezzo alla gente! non possono dargli fuoco”.
Non gli hanno dato fuoco ma hanno acceso tutti i fuochi artificiali che erano attaccati ad esse, creando girandole, facendo partire scintille e scie infuocate, razzi nel cielo e comete verso la folla. Quando vediamo che a un signore poco distante da noi cade in testa un razzo infuocato ce la diamo a gambe e cerchiamo un rifugio. Che matti! Erika rimane segnata da questo spettacolo di scarsa sicurezza pubblica.
Per riprenderci prendiamo un altro Canelazo (corretto!) e ci addentriamo ancor più nella folla fino ad arrivare sotto al palco, voglio portare Erika a ballare. Dopo l’esibizione del “Principe dell’amore”, un curioso personaggio che se la crede tantissimo, ma che se lo filano in pochi (ha pure un numero whatsapp per vendere i dischi che ripete ogni 5 minuti), torna alla carica la banda ecuadoregna. Diamo sfoggio di tutte le nostre abilità nel ballo e ci facciamo un sacco di amici intorno. Tutti che ci offrono il Canelazo, noi cerchiamo di rifiutare ma per qualcuno è veramente una questione d’onore. Il più insistente mi si avvicina anche per farmi i complimenti per avere una moglie cosi bella “le spagnole e le italiane sono le migliori” mi dice mentre mi versa l’ennesimo Canelazo. Mi sa che è ora di andare!! Anche perché i tre giorni di trekking si iniziano a far sentire e non ce la facciamo più a ballare.
Contenti come bambini torniamo a casa felici di aver vissuto anche questa esperienza molto sudamericana. Ci buttiamo a letto e in men che non si dica cadiamo in un sonno profondissimo.

Quilotoa Loop
Missione compiuta!!

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