Bangkok - Dove la metropoli incontra i Tropici

09 – 12 Aprile 2016

L’autobus per Bangkok ce l’abbiamo alle 16e30 per cui oggi bighelloniamo un po’ qui in guesthouse. Quando trovi queste “home away from home” in cui hai tutto ciò che ti serve, nella cornice di bellezza e comodità trasandata che questi luoghi trasudano, ti viene proprio voglia di goderteli un po’. Scriviamo un po’ il diario, leggiamo, dondoliamo sulle amache guardando il fiume scorrere lento. E così anche la nostra giornata scorre con lo stesso ritmo. Alla stazione dobbiamo aspettare un’altra ora e mezzo per il ritardo dell’autobus in arrivo, ma siamo rilassati, io mi faccio anche un sonnellino niente male. Erika mi sveglia quando dobbiamo salire. L’autobus è decisamente vetusto e ha visto giorni migliori ma almeno non ha l’aria condizionata impostata su “tana dell’orso polare il 15 gennaio” e ci sembra già un gran risultato!

Dal finestrino scorre malinconicamente questa terra che ci ha restituito la gioia e la libertà del viaggiare e un po’ di tristezza inizia a farsi sentire. Anche il cielo sembra essere dello stesso avviso e iniziano ad ammassarsi dei nuvoloni neri che in breve tempo scatenano un temporale tropicale di prim’ordine.
Sarebbe anche suggestivo guardare la pioggia cadere fuori dal finestrino e far volare la mente a quello che si è vissuto, magari con un sottofondo struggente nelle cuffiette, come in un film romantico, se non fosse che le guarnizioni del nostro autobus sono state revisionate l’ultima volta ai tempi dei colonialisti francesi e in pochi minuti ogni vetro si trasforma in una fontana zampillante, il pavimento si allaga, tutti ridono mentre tentano di arginare gli spruzzi con le tendine che in breve tempo diventano fradice, noi smadonniamo pensando che dovremo passare la notte su un solo sedile, l’unico asciutto, proprio come in un film tragicomico. Fortunatamente il temporale dura poco e con questo caldo tutto si asciuga. L’assetto dei passeggeri e l’umore torna normale in breve tempo.
Arriviamo in frontiera velocemente (in realtà sono tipo 3 ore ma noi oramai non ci facciamo più caso) e l’ansia dell’avere il passaporto rovinato si fa sempre più forte. Nel profondo siamo abbastanza fiduciosi che ci faranno passare, se non altro per farci raggiungere l’ambasciata Italiana a Bangkok, l’unica qui nei dintorni. Le nostre previsioni si rivelano esatte e passiamo velocemente i controlli, sia quelli decisamente grossolani dei laotiani, sia quelli ultratecnologici dei tailandesi. Già dalle due dogane ci accorgiamo del cambiamento degli stili di vita, della ricchezza, della modernità. Il Laos, per un periodo chiuso al mondo esterno dai suoi governanti per proteggerlo dal capitalismo, sta, come oramai tutti i paesi, tendendo naturalmente verso questo, che sembra oramai l’unica ricetta per lo sviluppo. I suoi abitanti sono ancora dolcemente pigri e quindi non ossessionati dal profitto ma la televisione ha già portato tutti i falsi bisogni e desideri di una vita all’occidentale, che presto o tardi finiranno per coinvolgere la popolazione in una modernità che tailandesi e cinesi stanno portando sotto forma di aiuti, fin troppo “interessati”. La Tailandia invece, da sempre schierata dalla “nostra” parte, sempre desiderosa di avvicinarsi quanto prima possibile alla modernità occidentale, è ovunque un cantiere, e i simboli di questa modernità, grattacieli, autostrade, infrastrutture, sono immediatamente riconoscibili.
Terzani si domandava su quale riva del Mekong, che segue il confine tra questi due paesi, tra questi due diversi mondi, per un lunghissimo tratto, fosse la felicità. Se lo domandava quando su questo fiume, carico di storia, non vi era neanche un ponte che potesse permettere la permeabilità delle idee tailandesi in Laos, ma purtroppo già si intravedevano i primi segnali di apertura. La risposta sviava dall’interrogativo originario, probabilmente senza possibilità di soluzione, soffermandosi su una considerazione inoppugnabile: l’uniformarsi della ricetta di sviluppo per tutti i paesi del mondo porta a una perdita enorme per l’umanità, la perdita del diverso, dell’opposto, dello scambio proficuo e costruttivo di idee, per lasciare lo spazio a un unico, immenso, piccolissimo villaggio globale.
La notte passa un po’ insonne. Se da un lato ci stiamo abituando sempre di più alle lunghissime traversate diurne nei mezzi di trasporto, dall’altro le notti mi sembrano che siano sempre più dure da trascorrere.
Erika mi sveglia che il sole è già alto, per indicarmi di guardare fuori dal finestrino. Siamo su un viale enorme composto quattro carreggiate da tre corsie l’una. Tra una carreggiata e l’altra enormi piloni sostengono, sopra di noi, un’autostrada sopraelevata e, ci sembra, una metro. Ai lati le palazzine, non troppo alte, sono interamente coperte da cartelloni pubblicitari, neon o schermi. Dietro la skyline è quella di una grande metropoli con i grattacieli altissimi dalle architetture bizzarre. Siamo a Bangkok!!
Dopo un mese di Laos fissiamo fuori dal finestrino inebetiti come potrebbe fare una spaurita vecchietta di provincia che visita la città per la prima volta. Ci sentiamo quasi intimoriti da tutto questo, come se non fossimo in grado di gestirlo, tutta questa frenesia aggressiva ci destabilizza un poco. Ovviamente sappiamo di far parte di questo mondo, sappiamo di essere cresciuti in ambienti simili e sappiamo che presto ci riabitueremo ma ci piace l’idea che il Laos ci abbia fatto rallentare, che ci abbia dolcemente insegnato a vivere con un altro ritmo, senza imporcelo, senza che noi ce ne fossimo quasi accorti. Ci viene anche da pensare che forse quello stile di vita, che non ci siamo accorti di star assimilando, sia in qualche modo più naturale, e che la forzatura sia invece l’accelerazione che stiamo sentendo, fin troppo, ora. Arriviamo in stazione e, schivando tutti i guidatori di tuk-tuk, iniziamo a cercare un autobus urbano per raggiungere Kao San, la mitica destinazione per i backpakers di tutto il mondo, nonché una delle zone più economiche dove dormire.
Chiediamo a qualsiasi persona in divisa che incontriamo e alla fine riusciamo a sederci sul nostro autobus, che per una decina di bath (25 centesimi in due) ci porterà a destinazione. E’ mattina presto e la via di Kao San è deserta, sembra si stia riprendendo anche lei dai bagordi di ieri sera. Le guesthouse sono comunque aperte e con facce assonnate i proprietari ci portano a vedere le camere. Quelle più economiche non sono delle vere stanze quanto più dei letti messi in delle porzioni di stanza, separati con delle pareti in cartongesso. Solo alcune hanno la finestra di quella che fu la camera originaria. Ora capisco perché i prezzi qui sono cosi bassi!! Sono un po’ claustrofobiche e per questo decidiamo di prenderne una con A/C (che lusso!!). Noi preferiamo di gran lunga guesthouse economiche (più lo sono e meglio è) con una loro personalità; queste sono economiche per carità, ma sembrano di più le gabbie per i polli in batteria. Oggi siamo stanchi dopo la notte in bus e ci fermiamo qui ma la prossima volta ci riproponiamo di allontanarci un po’ da questa zona per trovare sistemazioni più carine al giusto prezzo. Usciamo e facciamo colazione poi decidiamo di andare a vedere Wat Pho, uno dei più bei templi buddisti di tutta l’Asia. Anche qui schiviamo tutti i tuk-tuk perché preferiamo sempre cavarcela da soli andando a scovare le soluzioni più economiche con i mezzi pubblici.
Erika individua sulla mappa una fermata del traghettino sul Chao Phraya, il fiume che taglia in due Bangkok, e che è una delle migliori vie di comunicazione e trasporto nella città; non a caso siamo nella Venezia asiatica. Ci sono varie tipologie di traghetto e capiamo che quella che fa più al caso nostro è quella che ha una bandiera arancione a poppa: fa quasi tutte le fermate ed è decisamente economica. Lo prendiamo e ci rilassiamo vedendo Bangkok da questa diversa prospettiva che ti fa capire quanto questa città sia legata all’acqua: palafitte, barche di ogni dimensione, terrazze, ristoranti, ponti enormi e sulle rive, templi e stupe a perdita d’occhio.
Il traghetto ci lascia vicinissimo a Wat Pho e lo raggiungiamo a piedi. L’attrazione principale è l’enorme Buddha sdraiato dorato dentro al tempio principale, ma anche girovagare per i templi minori o tra le coloratissime stupe è affascinante.

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L’enorme Buddha sdraiato di Wat Pho

 

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Collezione di Buddha a Wat Pho

 

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Vicoletti e stupe a Wat Pho

 

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Phra Buddha Deva Patimakorn (che fatica ricordarsi il nome!!!)

 

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Ancora tante stupe intorno a noi

 

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L’ultimo sguardo a Wat Pho da un’angolazione particolare

Ci prestiamo anche ad una usanza che sembra quasi quella cinese di comprare con dei soldi veri delle banconote false per lasciarle ai piedi delle statue: qui si comprano delle monete da far cadere in 108 vasi metallici per avere fortuna. Strano modo di far donazioni ma a noi domani, all’ambasciata Italiana per il mio passaporto, serve fortuna.
Prima di uscire leggiamo anche di un festival in occasione del Songkran, il capodanno Thai, che si svolgerà per tutta la settimana, di sera, e dove ci saranno spettacoli musicali, teatrali e un mercato notturno all’interno delle mura del tempio. Decidiamo che stasera torneremo a vederlo.
Proviamo a chiedere a un paio di tuk-tuk il prezzo per raggiungere Kao San ma nonostante con la contrattazione passiamo da 200bath a 60bath il divario con il mezzo pubblico è troppo. Riprendiamo il traghetto, pranziamo velocemente in uno dei tanti ristorantini e poi ci buttiamo a letto per un paio d’orette per riprenderci dal viaggio.
La sera la passiamo di nuovo dentro Wat Pho, stavolta con ingresso gratuito (il Buddha però non si poteva vedere), che di notte è ancora più suggestivo.

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Wat Pho di notte

Lo spettacolo musicale con strumenti tipici è coinvolgente e i musicisti sono veramente bravi. Le ballerine poi ci incantano con la loro danza perfetta.

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Le ballerine per i festeggiamenti del Songkran

La rappresentazione teatrale pur essendo interessante per i costumi, le movenze e il fatto di essere interpretata solo da uomini anche per i personaggi femminili, essendo tutta in thailandese ci rimane un po’ indigesta.

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E infine lo spettacolo teatrale

Infatti dopo una decina di minuti ci alziamo e andiamo a mangiare qualcosa al mercato notturno. Pur essendo notevolmente infiocchettato e non aver niente dei veri night market l’atmosfera è carina e il cibo è buono. Faccio qualche foto in notturna fino agli angolini più remoti del tempio. Incontriamo anche un monaco anziano che sta “provando” a suonare un enorme gong, probabilmente per una celebrazione di domani. Vedendoci interessati mi chiede se voglio provare. Dopo i primi colpi da principiante assesto un bel gong che fa sorridere anche il monaco. Scambiamo due chiacchiere e ci invita anche per il giorno dopo: chissà magari un salto ce lo facciamo. Ringraziamo e lo salutiamo.

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Il monaco mi fa suonare il gong…timidamente!

Ci incamminiamo verso la guesthouse a piedi perché abbiamo voglia di passeggiare un po’. A Kao San nel frattempo è cominciata la festa e tutti i locali hanno la musica ad altissimo volume. Soprattutto quello sotto la nostra guesthouse ha dei bassi da far tremare le pareti: Ottima scelta!! La Lonely Planet dice che l’unico modo per sopravvivere alla nottata qui è unirsi al party ma stasera proprio non ce la facciamo. Ci stendiamo nel letto cullati dal dolce tunz tunz tunz della discoteca sottostante.
La LP aveva ragione, dormire in queste condizioni è decisamente un’impresa ardua; tanto più che terminata la musica a tarda notte hanno iniziato a far casino i nostri vicini di stanza. Ma siamo nel centro del centro della movida: non ci possiamo certo lamentare. Solo che ci piace decidere quando essere nel mood “let’s join the party!!!” o nel mood “nell’abbraccio di Morfeo”, per questo la prossima volta una guesthouse leggermente più appartata grazie.
Il mattino seguente abbiamo l’appuntamento con l’ambasciata italiana per fare richiesta del mio nuovo passaporto. Kao San non è molto collegata con i mezzi pubblici al resto della città, o meglio, di autobus ne passano a decine nelle vicinanze ma capire il percorso delle varie linee è un’impresa tutt’altro che semplice. Erika però vede su maps che c’è un canale interno alla città che porta vicino alla città nuova, dove è la sede dell’ambasciata, nel quale sembrano esserci una linea pubblica di barchini: andiamo a vedere!!
Il molo di partenza si raggiunge facilmente a piedi e troviamo un bel barcone col motore acceso già pronto alla partenza. Ci sediamo e si parte. Il canale è molto stretto, ci passano a malapena due di questi barconi, e quindi si può facilmente dare un occhio alle case sulle sponde. Tutto brulica di vita vera tra piccoli mercati, abitazioni e semplici vie che costeggiano il corso d’acqua. Poi il guidatore decide di accelerare il passo e gli schizzi d’acqua sporchissima costringono i passeggeri ad alzare dei teli cerati posti lungo il perimetro della barca con apposite cordicelle: lo spettacolo si interrompe. A tratti poi riprende quando si è in prossimità di un molo: allora si tirano giù questi teli e un altro spaccato di vita viene alla luce. E’ proprio vero che questa è la Venezia asiatica, non tanto per la quantità di canali, che sono enormemente di meno dell’originale, ma per l’importanza che questi canali rivestono per la città. Si sente che sono punti nevralgici di vita, isole di inarrestabile attività all’interno del tessuto urbano.
Arriviamo all’ambasciata con un’oretta di anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento ma sembra ancora tutto chiuso. Ci mettiamo in fila ad aspettare. Dopo mezz’ora dall’orario di apertura qualcuno apre ma possono entrare solo i richiedenti il visto. Va bene aspettiamo. Poi vediamo qualche italiano entrare comunque, allora ci alziamo ed entriamo anche noi: “si accomodi nella sala sulla destra”…ma non potevi dirlo che ora si poteva entrare? Piccoli angoli di italianità. Comunque confidiamo sulla precisione e la dedizione della Iesuè, l’addetta italiana ai passaporti, che rispondeva alle mail con una rapidità e una chiarezza anglosassoni. Purtroppo invece anche lei arriva allo sportello una buona mezz’ora dopo il nostro appuntamento (ma stava lavorando di backoffice) e inizia a chiamare un po’ alla rinfusa. Vediamo anche persone che si alzano e vanno allo sportello e vengono normalmente accettate e le loro pratiche evase. In un primo momento pensiamo siano persone che avevano una qualche precedenza, ma poi, quando un ragazzo un po’ rintronato, fisico da modello e faccia da orango tango, con tanto di puttanone cinese al suo fianco, si avvicina allo sportello e chiede come si faccia a rifare il passaporto e la Iesuè gli spiega tutto e poi gli prepara la pratica in barba a noi che aspettavamo da mezz’ora, capiamo che qui vige la regola del chi primo raggiunge lo sportello: è che noi speriamo sempre che le regolamentazioni delle file servano a qualcosa. Non in questo angolo di simpatica italianità. Sì, perché qui ci sono veramente soggetti di ogni tipo: dall’istruttore di sub un po’ avanti con gli anni che vuole ottenere il passaporto per la figlia avuta con una tailandese un po’ sovrappeso, all’anzianotto piacente e la moglie-badante con la quale comunica in un inglese poco meno che basico, il napoletano fotografo, anche lui avanti con gli anni, che fa il simpatico con tutti e si vanta di aver conosciuto Maria de Filippi, l’espatriato a cui la “compagna” gli ha bruciato per sbaglio il passaporto che ti dice per filo e per segno i quartieri a luci rosse, adesso purtroppo notevolmente diminuiti, ma non perché a lui interessa qualcosa eh. Poi fortunatamente ci sono anche ragazzi normali che vengono a registrare il matrimonio con un italiana a Phnom Penh e si percepisce non siano casi umani. Nel centro di tutte queste storie, ma al margine di tutto il cameratismo che si è instaurato in quella stanza, noi aspettiamo il momento per balzare allo sportello. Finalmente troviamo un buco e riusciamo a fare la pratica in cinque minuti: ci assicurano che riusciremo ad avere il passaporto prima della fine del nostro visto turistico (magari sollecitando la questura di Terni per il nulla osta). Salutiamo tutti e ci dileguiamo.
Visto che siamo vicino alla zona dello shopping sfrenato, decidiamo di andare a cercare dei sandali per Erika dopo che sia i cinesi che i laotiani si sono irrimediabilmente distrutti. Riuscire a descrivere il distretto dello shopping di Bangkok è impresa ardua: Un’intera via di centri commerciali, ognuno su almeno 5 piani, immensi, collegati tra di loro con passaggi pedonali con aria condizionata e una via sopraelevata, che corre sopra le carreggiate delle automobili, esclusivamente per la passeggiata dei clienti. Se non si vede non si riesce a capire la grandiosità di questo immenso monumento al consumismo. Merita una passeggiata anche se si è di quelli che solo al pensiero di un centro commerciale gli prende l’orticaria, cioè come noi. Ci mettiamo però l’anima in pace e ci giriamo 3 o 4 di questi immensi palazzi deputati allo shopping, passando da quelli che sembrano dei mercati cinesi un po’ rimessi a nuovo a quelli dove ad ogni ingresso un portiere in guanti bianchi ti tiene aperta la porta, e dove, appena messo un piede dentro, vieni abbagliato dal luccichio della sfarzosità degli arredi e abbattuto da una fucilata di aria condizionata a temperatura polare diretta tra capo e collo.
Comunque dopo un bel girare (abbiamo anche pranzato in una delle corti culinarie di un centro commerciale) finalmente troviamo i sandali per Erika, di quelli con la suola cucita e non incollata, almeno speriamo che resistano almeno un mese!!
Visto che siamo riusciti a cavarcela abbastanza presto decidiamo di andare a visitare anche Wat Arun, un bellissimo tempio sulla sponda occidentale del Chao Phraya.
Lo raggiungiamo attraverso i soliti traghetti che oramai abbiamo eletto nostri trasporti pubblici preferiti in questa città di caos. Al pontile ci avvicina anche una coppia di turisti italiani, veneti per la precisione, che ci chiede se si può unire a noi visto che non sanno bene come funzionano i traghetti. Ovviamente diciamo di sì e alla fine vengono con noi anche a visitare il tempio. Sono una coppia molto simpatica e ci chiacchieriamo veramente bene: un po’ di italianità “sana” dopo quella vista oggi in ambasciata ci fa sentire meglio.

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Affascinanti mezzi di trasporto cittadino

Il tempio è molto diverso dagli altri e per questo molto affascinante: un’altissima stupa di pietra, decorata finemente in ogni sua parte, svetta tra altre 4 piccole torri altrettanto curate. Il tutto bianchissimo. Purtroppo il complesso centrale mentre lo visitiamo è in ristrutturazione quindi non ce lo possiamo godere a pieno. Contiamo di ritornarci in uno delle numerose successive tappe a Bangkok.

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L’imponente stupa di Wat Arun

 

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Io e il mio amore tra i templi!

 

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Il Buddha e la stupa

 

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Ma guarda chi si vede da qui…Wat Pho!

Prima di tornare verso la guesthouse ci fermiamo a prenderci una cocacola fresca in una infima locanda con una terrazzina in legno su palafitta nel fiume.
La sera ci tuffiamo nella movida e ci scoliamo un paio di birre in un locale che non favoriva molto la conversazione, come tutti qui del resto, ma almeno aveva buona musica dal vivo che ci ha fatto divertire un po’, cantando a squarciagola.

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Scusi…quanto costa una corsa??

Il giorno seguente prenotiamo lo spostamento per Ko-Tao. Sono i giorni prima del Songkran quindi c’è un bel movimento in città e in giro per la Thailandia. Infatti la nostra prima idea era di andare diretti alle Trang Island e poi risalire piano piano ma i trasporti erano già tutti pieni per il turismo locale, cosi abbiamo dovuto ripiegare su una più facile destinazione. Il bus che ci porterà al traghetto ci dicono che ci sarà alle 15 quindi abbiamo solo una mattinata a disposizione. Vorremmo impiegarla per andare a vedere il palazzo reale ma prima abbiamo da fare qualche piccola commissione. La mia cuginetta si sta per laureare e vogliamo spedirgli un pacco con un po’ di oggetti raccolti in viaggio e una lettera in modo da essere presenti in qualche modo in un momento per lei così importante. La cosa ci porta via più tempo del preventivato, visto che vogliamo fare le cose per bene ma alla fine siamo soddisfatti del risultato. A questo punto per il palazzo reale è troppo tardi quindi decidiamo di girovagare un po’ per la città.
Ovunque già stanno iniziando i festeggiamenti per il Songkran e molti imbracciano i vari superliquidator pronti a rinfrescare chiunque sia a tiro. Noi purtroppo stando in giro con gli zaini piccoli in modalità “spostamento” e quindi stracolmi di elettronicherie varie, non riusciamo a partecipare alla festa o almeno cerchiamo di farci schizzare il meno possibile, poi ci scateneremo a Ko-Tao.

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Un primo assaggio di Songkran

Stendiamo un velo pietoso sul fatto che l’autobus, inizialmente vendutoci per in partenza alle 15, sia effettivamente partito da Bangkok dopo il tramonto, alle 19 circa. Nel mezzo tanta attesa snervante e qualche trasferimento a piedi da un punto di raccolta ad un altro, ogni volta con la speranza che fosse quello che ci avrebbe finalmente portato al nostro agognato bus. Ci mettiamo comodi ai nostri posti tra i fumi dell’alcool dei due francesi dietro di noi, che hanno dovuto accettare un paio di whiskey da un perfetto sconosciuto prima della notte in autobus per cortesia. Da paura!

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