Pushkar - La spiritualità mancata

18 - 20 Settembre 2016

Arriviamo ad Ajmer che è già calato il sole e l’autobus si ferma in uno stradone di periferia. Sono quasi le 19e30 e l’ultimo autobus per Pushkar sappiamo essere intorno alle 8, così almeno abbiamo letto. Scendiamo e ci assale una folla di tuk tuk che ci offrono il passaggio diretto per Pushkar a 500 rupie. C’è anche una ragazza inglese che è diretta là e facciamo gruppo. Abbiamo poca speranza di evitare un passaggio in taxi perché gli autobus governativi partono dalla bus station ma tentiamo lo stesso. Ci incamminiamo lungo lo stradone fino a un punto pieno di bancarelle e autobus fermi; trovo un agenzia e chiedo un autobus per Pushkar. Mi risponde che da qui non parte niente, devo andare alla bus station e posso prendere il tuk-tuk condiviso numero 5 o 7 per poche rupie. Fantastico. Ne proviamo a fermare un paio ma, da bravi volponi, ci chiedono 100 rupie a testa.

Nel frattempo un altro tassista che ci inseguiva è sceso a 80 rupie per tre persone e decidiamo che è un prezzo accettabile anche perchè dobbiamo andare o rischiamo di rimanere ad Ajmer. Sia lui che un suo collega ci dicono che l’ultimo autobus per Pushkar è già partito e che quindi non troveremo nulla alla bus station ma molto perentoriamente gli dico di portarci alla stazione e poche storie. Arriviamo alle 19e55, io salto giù dal tuk-tuk e inizio a chiedere per Pushkar, le ragazze mi raggiungono dopo aver pagato. Riusciamo ad individuare il bus che non è ancora partito e con 30 rupie riusciamo a raggiungere la nostra destinazione. Siamo soddisfatti. Scendiamo e ci dirigiamo subito verso i posti selezionati da Erika nel suo lavoro di scrematura preliminare. Andiamo in direzione opposta al lago sacro di qui e entriamo in un piccolo quartiere per Backpackers (come altri, tutti simili e oramai soprannominati da noi “Backpackistan”). Chiediamo nelle guesthouse che ci interessavano ma, essendo delle “top-choice” della Lonely Planet, hanno prezzi alti, sono strapiene e quindi non hanno interesse a fare sconti e non ci convincono troppo come comodità. Fortuna vuole che proprio di fronte c’è un piccolo alberghetto in cui entriamo senza troppa convinzione. Il gestore ci sta subito simpatico, si vede che non è abituato a trattare con turisti stranieri e ci fa un prezzo basso per la camera con aria condizionata. La andiamo a vedere e la prendiamo in un battibaleno! Anche stasera ce l’abbiamo fatta. Andiamo a cena in uno dei locali che abbiamo incontrato lungo la strada, il “Mango Tree”. Decorato alla giamaicana come vuole il credo del “Backpackistan” offre cibo sia indiano che occidentale. Ci mangiamo un po’ di “junk-food” e poi andiamo a dormire. Il giorno successivo ci svegliamo riposati e saliamo sul tetto dell’albergo dove ci è stato detto che c’è un ristorante. La realtà è un po’ meno allettante e consiste in dei cuscini e un paio di tavolini sotto una tettoia in lamiera. Aspettiamo un po’ e quando arriva il ragazzo ci dice che qualsiasi cosa vogliamo la possiamo ordinare, lui la va a comperare e ce la porta senza maggiorazione di costo. Alla faccia del ristorante! Va be gli diciamo che preferiamo avere un menu da cui scegliere e andiamo dal nostro “Mango Tree” che ieri sera ci aveva convinto con le sue offerte per la colazione. Dopo un gigantesco yoghurt, muesli e frutta siamo pronti per l’esplorazione di questa piccola città santa. La sacralità va ricercata principalmente in due punti: nel lago costellato di Ghat (i gradoni di pietra grazie ai quali si entra in acqua per il lavaggio spirituale) e nel tempio di Brahma (uno dei pochissimi al mondo). Ci incamminiamo quindi verso il centro di tutta questa spiritualità per cercarne l’energia che dovrebbe emanare.

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La torre dell’orologio

Lungo la strada passiamo di fronte a un grande tempio Sikh e in mezzo a un bel branco di mucche. Una di queste irritata perché scacciata da un indiano, vedendomi sulla sua strada verso la fuga mi scansa delicatamente con una testata…delicatamente per lei! A me arriva un colpo sulle costole che mi lascia senza fiato per un attimo e uno dei suoi appuntiti corni mi sfiora e fortunatamente mi fa solo un graffio. Erika non perde tempo per rimproverarmi che passo sempre troppo vicino agli animali; ne discutiamo animatamente per qualche minuto ma poi passa tutto.

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Le conseguenze dell’impatto

Arriviamo in uno dei punti di accesso al lago sacro; un grosso cartello avvisa che è vietato fare foto all’interno. La cosa non mi turba più di tanto perché non vediamo niente di incredibilmente bello. Il lago è squadrato e dà più l’idea di una grossa piscina più che di un bacino naturale. Lungo tutto il perimetro una miriade di templi e Ghat assicurano sufficiente spazio per tutti, anche se non vediamo molto affollamento, probabilmente perché già tardi. Diamo una rapida occhiata, giusto il tempo di accorgerci che c’è un tempio dedicato alla mucca sacra, il primo che vediamo qui in India, e poi proseguiamo nel bazar.

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Locali intenti agli acquisti

Composto da un’unica via che segue la riva sud del lago questo bazar è carino ma non eccezionale. Una serie di negozietti di ogni tipo si susseguono ma quelli “turistici” sono senz’altro la maggior parte facendo perdere al luogo di fascino.

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Il bazar turistico di Pushkar

Mi colpisce il negozio di un barbiere che vorrebbe a tutti i costi tosarmi, gli dico “magari domani” e nel frattempo gli faccio una foto.

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Il ricercato barbiere

 

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E uno dei suoi magnifici clienti

Proseguiamo lentamente fino al tempio e la cosa che più ci colpisce sono i meravigliosi turbanti degli uomini che incontriamo: coloratissimi sopra le vesti bianche donano ai loro possessori una bellezza esotica che non avevamo visto nelle altre città del Rajasthan.

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Turbanti coloratissimi si incontrano ad ogni angolo

Arriviamo al tempio e la prima impressione che abbiamo non è di grandezza come ci aspettavamo dall’unico santuario di uno dei più importanti Dei hindu. Dobbiamo toglierci le scarpe abbastanza distanti dalla porta di ingresso e quindi Erika, dopo un rapido check della scarsa pulizia della strada, decide di mandarmi avanti, se poi sarà un’esperienza incredibile verrà anche lei. Io mi incammino e varco il modesto cancello sulle mura esterne e mi trovo davanti un piccolo tempio, abbastanza colorato ma niente di eccezionale qui in India, posto al centro di una piazzetta contornata di edifici bianchi. Faccio un rapido giro attorno alla struttura ma già decido che dirò ad Erika che non ne vale proprio la pena. Torniamo indietro un po’ insoddisfatti di questa che doveva essere una piccola perla del Rajasthan.

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Altro tempio indù accessibile solo ai fedeli

Ci riavviciniamo all’hotel e mangiamo dei falafel (anche qui gli israeliani sono di casa) in un fast food nel “Backpackistan”. Mentre aspettiamo il pranzo, il gestore del locale parlando con una cliente elenca le poche cose che ci sono da fare qui…in mezza giornata le abbiamo già fatte tutte e francamente non ci sono sembrate imperdibili. Va be’ vorrà dire che oggi pomeriggio ci rilasseremo in guesthouse. Dopo pranzo scriviamo un po’ il nostro blog al fresco dell’aria condizionata. Quando il sole sta per calare usciamo per fare altre foto al lago e a questo meraviglioso popolo.

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Tipico quadretto di vita indiana

Da un Ghat fuori da quelli principali riesco anche a fare una foto, stando bene attento a non inquadrare da vicino persone che stanno facendo il bagno.

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Il famoso laghetto sacro

Per cena ci rifugiamo di nuovo dal nostro Mango Tree e poi attacchiamo qualche bandierina del viaggio sugli zaini (altro task da aggiungere ai tanti che affollano i nostri momenti liberi…che fatica!!! :P). Il giorno successivo abbiamo lo spostamento verso Agra nel pomeriggio. La mattina ci svegliamo un po’ tardi, andiamo a fare colazione e a prendere dei panini per il viaggio e alle 10 prendiamo il bus di linea fino ad Ajmer. Dall’autostazione individuiamo i famosi tuk-tuk collettivi che con 10 rupie a testa ci portano alla stazione senza truffarci. Da li aspettiamo un po’ il nostro treno e poi ci accomodiamo per altre 5 ore in Sleeper Class!

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Erika dietro le sbarre

 

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Cullato dallo sferragliare del treno

 

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